Swami Veetamohananda

 

Come vivere consciamente la vita di tutti i giorni

 

Traduzione a cura di Franca Mussa [12]


Vivere una vita naturale, è vivere in modo stabile e spontaneo.

Per questo, bisogna indurre, lungo la giornata,il risveglio della coscienza, che provocherà la sua trasformazione.

No proviamo a farlo meditando una o due ore al giorno. Ma, se il resto della giornata trascorre in modo inconsapevole, agitato, trascurato e meccanico, ciò cancellerà tutti gli effetti della nostra meditazione.

Poiché la meditazione diviene un mezzo rapido di trasformazione solo se la coscienza meditativa è continua, cioè, quando tutti i pensieri e le azioni sono sostenuti da una calma interiore e dalla piena coscienza di sé.

 Il perdurare di una coscienza meditativa può essere mantenuto solo quando la vita meditativa è diventata spontanea senza sforzo. Alcuni fra di voi hanno forse  letto il libro di Frère Lourent :”La pratica della presenza di Dio”.

Frère Lourent ci esorta a mantenere costante l’idea di Dio. A prima vista, ciò può sembrare una tecnica semplice e facile. Ma nella pratica reale, niente è più difficile.

Se con il semplice potere della volontà, si cerca di imporre un tale ricordo continuo alla mente, il risultato sarà una tensione, così forte che poche persone potranno sopportarlo a lungo. La verità, è che la presenza di Dio non è qualcosa da essere “praticata”! E’ un’esperienza spontanea, che vive in voi tutto il temo e che voi non potete dimenticare, anche se lo volete. Ciò che consiglia Frère Lourant, praticare la presenza costante di Dio, è in effetti di mantenere una coscienza meditativa permanete. Ciò diventa un esercizio facile, creativo, gioioso, solo quando la meditazione stessa è diventata naturale e spontanea.

Che cos’è la spontaneità? Come definirla?

Tutto ciò che facciamo senza sforzo non è necessariamente un’azione spontanea. Con la pratica, andare in bicicletta, nuotare, suonare il piano e altre attività simili, si fanno senza sforzo, ma ciò appartiene a ciò che gli scienziati chiamano riflessi incondizionati. La spontaneità è tutto il contrario del condizionamento.

E’ una risposta totale della personalità globale, che non è stata condizionata da esperienze precedenti.

L’idea di splendore che una farfalla evoca in un bambino, la meraviglia davanti a uno splendente tramonto o la compassione di forte a colui ce soffre, sono una risposta spontanea che implica l’intera personalità.

C’è un altro tipo di esperienza spontanea superiore, ma più rara, chiamata “misticismo naturale”. Alcune persone, in particolare adolescenti e artisti, entrano spontaneamente in uno stato di vigilanza. Ad occhi aperti, vi ritrovate all’improvviso nel cuore di una calma interiore, in un silenzio radioso in cui gli alberi, le case, l’erba,le persone,le colline, le strade, il cielo, le nuvole…, tutto appare intensamente splendente, reale, pieno di una impalpabile presenza viva.

Voi sentite che siete una parte inseparabile di una vita di dimensione superiore, in cui il mondo non è che una rappresentazione immaginata. Il passato e il futuro scancellano, il tempo si immobilizza e voi esistete in un infinito presente. Voi siete sena desideri, senza progetti, pieni della calma bellezza e della pace della pura coscienza. L’esistenza stessa diventa gioia.

Queste esperienze accadono a molte persone, ma pochi sono quelli che hanno la fortuna di comprenderle. E’ per questo che la vita nella natura fa parte integrante del nostro programma nei seminari. I maestri Zen riconoscono il significato di tali esperienze e cercano di trasformarle in un primo gradino verso esperienze spirituali più elevate.

Con la cerimonia del tè, i giardini di sabbia e altre usanze, il “misticismo naturale” è diventato un tratto caratteristico della cultura giapponese. Queste esperienze semi-mistiche non hanno abitualmente alcun valore a contenuto religioso, e non possono produrre una trasformazione stabile del carattere o della coscienza. Ma con la liberazione della spontaneità e il senso di unità con la vita cosmica, creano una vita naturale, fresca e gioiosa.

In un contrasto sorprendente,la vita di meditazione che l’aspirante spirituale medio conduce, è piena di lotte, e chiusa talmente da regole e costrizioni che la spontaneità è spenta e l’anima separata dalla vita cosmica.

In molti, la meditazione impegna solo una parte della mente e non riesce a provocar una risposta completa.

Alcuni aspiranti, invece di provare a svilupparsi dalla propria legge del loro essere, cercano di seguire o di imitare le vie di altre persone.

Il risultato è che la vita meditativa di molti di loro, resta isolata, senza interesse superficiale, senza creatività, senza relazione con la realtà,  dell’esistenza e senza gioia. E’ possibile rendere al vita spirituale libera, fresca, spontanea, naturale, continua, unificata e gioiosa?

Una vita meditativa diventa spontanea solo quando la Buddhi (l’intelletto), il cuore spirituale, è risvegliato, cioè quando l’io individuale emerge alla superficie della mente cosciente e prende in carica i nostri  pensieri e tutte le nostre azioni. La meditazione è un tentativo per elevarsi da uno stato di coscienza inferiore a uno stato di coscienza superiore.

Diventa facile e naturale solo quando la Buddhi risvegliata esercita una trazione verso l’alto. Tuttavia, questo risveglio superiore impiega parecchio tempo a prodursi.

Che possiamo fare fino a quando non succede questo o se questo non succede?

E’ possibile accelerare questo processo di risveglio intensificando lo sforzo per attraversare rapidamente questa prima fase sgradevole.

Beninteso, ciò significa lotte più gravi, ma coloro che sono abitati da una intensa aspirazione, le affrontano volentieri. E’ anche possibile, ridurre gli ostacoli alla spontaneità  e alla continuità a rendere la vita meditativa più naturale.

Il primo passo verso la vita cosciente è di semplificare la propria vita. La semplicità non significa soltanto possedere poche cose,o avere uno stile di vita scarno.

La cosa più importante è di semplificare la propria via mentale.

La semplicità mentale presenta parecchi aspetti: Uno di essi è la semplicità intellettuale. Una mente piena di ogni sorta di idee indigeste e scucite è un grande ostacolo alla serenità.

La conoscenza ottenuta dai libri e grazie ai professori deve essere sistematizzata scientificamente, cioè dobbiamo comprendere come le differenti idee che raccogliamo sono connesse tra loro. Nello stesso tempo, queste idee devono essere integrate alla nostra vita. Ciò fa appello a una filosofia fondamentale della vita.

Ogni aspirante spirituale deve sviluppare la propria filosofia mescolando sapere ed esperienza.

Le Scritture e i diversi sistemi filosofici ci sono per guidarlo e per aiutarlo a sviluppare la sua propria filosofia di vita. Lo sviluppo di una personale filosofia ci permetterà di stabilire delle relazioni adattate alle persone e al mondo che ci circonda, di meglio comprendere i problemi della vita, di ridurre le nostre preoccupazioni e, mettendo rodine nei pensieri e nelle emozioni, lascerà ala nostra mente più spazio per Dio e tutto ciò che riguarda la spiritualità.

Il secondo aspetto della semplicità mentale è la semplicità della fede. Si può possedere il sapere di un erudito , ma bisogna avere la fede di un bambino, dice una Upanishad.

Che cos’è la fede? La fede è l’accettazione dell’ordine naturale delle cose dell’universo. Se ci auguriamo di vivere in armonia con Dio, dobbiamo aver fede sul mondo e il nostro ambiente. Senza una semplicità naturale della fede, la vita diventa artificiale, incerta, infelice. Un altro aspetto della semplicità mentale è quello di far cadere le maschere che portiamo.

Sostenere di essere ciò che non siamo, è un compito futile e una perdita di energia. L’ipocrisia e la vanità soffocano le sorgenti della spontaneità. Accettarsi coi propri limiti e idiosincrasie è del tutto indispensabile per avere una vita naturale meditativa o cosciente.

Un altro aspetto, ancora, delle semplicità mentale è la semplicità di condotta. Gli aspiranti spirituali hanno la tendenza a sovraccaricarsi di troppo regole, di voti, di rituali e di osservanze. Certi, senza dubbio, sono necessari durante le prime tappe della vita spirituale, ma troppa dipendenza da questi, intralcerà la mobilità dell’anima.

Man mano che l’aspirante progredisce, deve abbandonare i primi sostegni  e tenersi a supporti più elevati che sono invariabilmente più semplici e meno restrittivi.

Troppi scrupolo trasformano la vita spirituale in una forma di tortura personale.

La vera semplicità implica sempre di trascendere sia la virtù sia il vizio, almeno fino ad un certo punto. La semplicità è l’onesta dell’anima. La spontaneità è una risposta totale dell’intera personalità. Se vogliamo rendere la nostra vita naturale e stabile, dobbiamo arrivare all’integrazione dalla nostra personalità.

Per molte persone, le emozioni vanno in un senso, la vita intellettuale in un altro e le azioni seguono una terza via. Per loro,la vita spirituale è l’intensificazione dell’una o dell’altra di queste facoltà. In realtà, la spiritualità non è né un’emozione, né un ragionamento, né un’azione. E’ direttamente collegata allo “spirito” il vero Sé. Il Sé è il cuore di tutta la personalità. E’ il centro attorno a cui la personalità tutta intera deve essere integrata.

Nella vita corrente, ci vogliono diversi anni ad una persona matura per ottenere un certo grado di integrazione della sua personalità o pienezza. Ciò portò il dott. Jung a pensare che il Sé è qualche cosa che si è “creata” abbastanza tardi nella psiche umana, un processo che egli chiama “individualizzazione”.

Ma il pensiero vedantico considera il vero Sé come un principio di pura coscienza, non—creato, esistente in se stesso d a tutta l’eternità.

Tuttavia nella vita ordinaria, questo vero Sé resta velato o nascosto e così, la maggior parte delle persone non sono coscienti della sua reale natura.

Il Sé è il nostro dentro più profondo, è il nostro più vero e naturale stato, il nostro essere più semplice. Più ci avviciniamo al nostro Sé, più la vita diventa vera, naturale e spontanea. Più ce ne allontaniamo, più la nostra vita diventa artificiale e dispersa.

Tutto nel mondo, tutto in noi, il corpo, la mente, i pensieri, le azioni, è discontinuo, salvo il Sé, l’Atman. Lui solo è immutabile e impassibile. Ecco perché, se vogliamo avere una coscienza meditativa, ricordarci di Dio, o ripetere senza sosta il suo nome divino, dobbiamo fissarci sul Sé.

L’Amtan è “il granaio dei ricordi” della coscienza e dunque più l’avviciniamo, maggiore diventa la nostra coscienza e più forte la nostra memoria. Più ce ne allontaniamo, più dimentichiamo.

Così, l’unico modo di rendere la nostra vita meditativa naturale e stabile è di scoprire il nostro vero Sé e d immergerci in Lui. E grazie alla meditazione che possiamo raggiungere questo centro di coscienza.

Il rituale, lo studio, la preghiera e il culto non sono che dei mezzi indiretti, la meditazione invece ci conduce direttamente al nostro Sé.

Le Upanishad  dicono: “All’inizio, Dio solo esisteva. Era l’Essere puro, l’Uno sena secondo. Poi egli volle: Che io divenga molti, che io mi moltiplichi. E l’universo intero con le sue miriadi di esseri fu proiettato fuori da questo Essere unico”.

E’ la creazione macroscopica. Una creazione microscopia analoga sembra proseguire perpetuamente in noi. La conoscenza non è che una manifestazione della coscienza. Secondo i Tanta, i pensieri non sono che forme del “potere della coscienza”.

Esattamente come le scintille sprizzano dal fuoco, o come un impulso elettrico esce dalla dinamo, così la conoscenza emerge senza sosta dal Sé. E’ l’auto-proiezione dell’Atman che è la forza di base e che proietta la mente i sensi verso i loro oggetti.

E’ la sorgente di ogni conoscenza, di ogni creatività. Ma la creazione è nello stesso tempo una forma di distruzione , la proiezione del sé verso l’esterno, una forma di autoesilio.

Tutto avviene come se noi fossimo continuamente esiliati dal centro del nostro essere, come se ci perdessimo senza sosta. Ciò porta una disarmonia in noi, è la sorgente di tutti i nostri guai. Durante il sono profondo, il Sé ripiega i suoi poteri in se stesso, esattamente come il sole, ripiega i suoi raggi al tramonto. Così, solamente durate il sonno, siamo noi nel nostro stato naturale. Tuttavia, questo stato è inconscio.

E’ con lo yoga, specialmente lo yoga della meditazione, che l’uomo vince al forze centrifuga della sua creazione interna, la spinta verso l’sterno della sua propria  proiezione. Lo yoga è l’universo della creazione. E’ un tentativo cosciente e volontario per riunire i poteri sparsi della coscienza e dirigerli verso la loro sorgente, il Sé.

Nella meditazione profonda, tutti i pensieri si fondono in uno solo e questo unico pensiero affonda allora nella luce dell’Atman , come fa un pistone nel cilindro del motore. La meditazione è un tentativo per restare consciamente nel suo stato naturale. E’ una specie di sonno cosciente, diciamo, un centro-sono.

Non è possibile per la maggior parte delle persone restare a lungo assorbiti nella meditazione. E non è neppure necessario. Ciò che è importante, è tenersi al cento del proprio Sé cosciente ad ogni istante, anche quando si è impegnati nelle diverse attività della vita.

Non è difficile, perché noi pensiamo e diciamo “io” quasi tutto il tempo. Ciò che dobbiamo fare, è tenere questo “io” ancorato al cuore, la sede del vero Sé e non permettergli di vagabondare troppo lontano da questo centro. Così avremo sempre voglia di tornare al nostro vero culto. Questa specie di “ricordo di sé” richiama Dio e rende il nome divino facile da praticare.

In effetti, è più facile agganciarsi a un soggetto che ha un oggetto.

Due ostacoli maggiori insorgono per ottenere una vita stabile e spontanea: uno è la presenza di grandi zone d’inconscio nella mente, l’altro l’influenza del passato sulla nostra vita presente.

La vita spirituale è una vita cosciente. Infatti, è una lotta per a coscienza  per una coscienza più grande è più elevata. Ma quando osserviamo l nostra vita, ci accorgiamo che la sfera della nostra coscienza attuale è molto limitata.

Molte pie persone, prendono, al mattino, la decisione di ricordarsi di Dio per tutta la giornata. Ma si accorgono presto di averlo dimenticato quasi tutto il tempo. Il motivo è che la mente cosciente non è che un’isola minuscola in mezzo all’oceano dell’inconscio, e che questa isola è costantemente sommersa dalle onde. Gli aspiranti spirituali devono chiaramente capire ciò che la vita cosciente significa realmente. La vita cosciente è quella in cui si torva la coscienza di sé. Possiamo essere coscienti delle cose che manipoliamo, delle persone che sono attorno a no, dal cibo che mangiamo, ma siamo raramente coscienti che ne siamo coscienti.

La nostra cosiddetta coscienza non è che una identificazione con gli oggetti che sono attorno a noi, e noi siamo trascinati dalla corrente inconscia della vita.

La maggior parte dei problemi della nostra vita, sono il risultato diretto o indiretto della vita inconscia che conduciamo.

Nelle camere oscure dell’inconscio si nascondono gli istinti e le pulsioni di invidia, di collera, di avidità, di egoismo e di violenza.

Questi istinti e pulsioni balzano sull’anima come delle tigri affamate sulla preda, appena la mente conscia cede davanti all’inconscio. Le preoccupazioni, le tensioni, i conflitti e le malattie psicopatiche trionfano su di noi solo se l’inconscio domina la nostra vita.

Una persona normale conosce pochissime cose del suo inconscio.

E la meditazione che rivela la sua presenza e il suo funzionamento.

Quando ci sediamo per meditare o per ripetere il nome di Dio, ogni sorta di pensieri viene a distrarci. Sono i pensieri e le esperienze del passato che, di solito, sono conservate nell’inconscio da controlli subliminali sicuri. La meditazione è una forma di rilassamento e questo rilassamento, come accade durante il sogno, sopprime il controllo subliminale e di lì libera i pensieri imprigionati. A meno che l’inconscio non sia portato sotto il controllo del conscio, almeno fino a un certo punto, la meditazione è difficile e mantenere una coscienza meditativa continua è impossibile.

La finalità della vita spirituale non è semplicemente d vivere una vita cosciente am ugualmente ottenere una esperienza del superconscio.

Tuttavia, è impossibile andare al di là del conscio finché dimora imprigionato dall’inconscio. Così la vita spirituale implica due tipi di lotta: controllare l’inconscio e trascendere l’inconscio. Come controllare l’inconscio? Ci sono diversi modi di farlo. In ciascuno di noi, dei controlli subliminali tengono in scacco l’inconscio e i suoi contenuti indesiderabili, ma sono meccanismi incontrollati. Ciò di cui abbiamo bisogno è un controllo conscio. Ciò significa portare la coscienza nell’inconscio. Il controllo cosciente dell’inconscio è chiamato “nirodha” da Patanjali. Al contrario della rimozione che è un processo inconscio, il nirodha è il risultato di un esercizio cosciente del potere della volontà durante un lungo periodo di tempo.

Ci sono tre metodi per compiere nirodha Uno è la via logica. I anali Ida e Pingala forniscono l’energia psichica all’inconscio. Se si controllano anche l’inconscio è controllato. E se il controllo è effettuato correttamente, insieme a una purificazione della mente e ad una intensa aspirazione, il Su summa si apre e l’aspirante fa l’esperienza del superconscio. Swami Vivekananda dice: “Così, noi vediamo ora che ci deve essere un lavoro a doppia faccia. Prima, con l’azione stessa di Ida e di Pingala, che sono le due correnti normali esistenti, si controlla l’inconscio; e in seguito si va al di là della stessa coscienza.

I diversi esercizi di Hata Yoga, in particolare il pranayama, hanno come scopo di portare sotto controllo il meccanismo dell’inconscio interamente, padroneggiando la fisiologia umana, benché erte persone dimentichino questo scopo e convertono gli esercizi in una forma di culto per il corpo.

Il secondo metodo è la preghiera e l’abbandono di sé. La preghiera apre le camere del cuore all’influsso del potere divino.

Proprio come il campo magnetico, in un magnetofono cancella una canzone registrata s una cassetta smagnetizzandola, così il potere divino cancella le impressioni del passato nell’inconscio. Con una preghiera intensa, l’inconscio intero viene rapidamente sotto controllo.

Il terzo modo riottenere nirodha è la meditazione. Per un debuttante, meditare è come aprire il vaso di Pandora, ma se persiste, la coscienza penetra sempre di più profondamente nell’inconscio, e ne modera i movimenti capricciosi.

E quando la buddhi si sveglia, la luce della coscienza superiore o intuizione superiore, illumina gli angoli e i recessi oscuri dell’inconscio consuma tutte le impurità.

Poco a poco,l’aspirante impara che la coscienza meditativa può penetrare nell’inconscio in qualunque modo, anche quando non è seduto per meditare, e anche quando è impegnato nel lavoro. Con la pratica, la coscienza può dispiegarsi in tute le parti della personalità, per esempio, può essere potata nel corpo fisico per guarire le malattie e anche nello stato di sogno per impedire l’aumento degli incubi.

Essere costantemente coscienti di ogni pensiero e di ogni azione è il modo migliore di controllare l’inconscio.

Buddha chiamava questo “la memoria pura” e l’includeva nel suo “Nobile Ottuplice Sentiero”.

Gli antichi yogi buddisti chiamavano questa pratica samprajanya. La definiscono così:” Essere costantemente testimoni di ogni stato del corpo e della mente è in breve, la natura di samprajanya

I buddisti delle scuole del sud (Theravada) chiamano questa tecnica Vipassana o visione interiore. E’ per loro una tecnica spirituale totalmente importante, che considerano il samadhi o assorbimento come uno stato che le è interiore.

In effetti, dispiegare la coscienza in tutte le sfere dell’azione e del pensiero in ogni istante, è un modo più efficace di trasformarsi in coscienza divina, che passare una o due ore al giorno seduti a meditare.

Ciò che rende questa pratica difficile è al nostra abitudine di giudicare, di scegliere, di influenzare le cose e le persone senza sosta, ciò che produce tensione e conflitti.

Una volta che abbiamo abbandonato questa abitudine, la coscienza meditativa diventa facile e naturale. Un altro elemento tuttavia è necessario per rendere la vita meditativa stabile e spontanea, è l’unità con l’Infinito. Se la meditazione fosse solamente un’osservazione senza fine di ogni movimento del corpo ed ella mente, ciò non sarebbe nient’altro che narcisismo spirituale. Ciò può essere valido in certe forme di meditazione logiche e buddiste, ma non   lo è n4ella meditazione vedantica conosciuta sotto il nome di Upasana. Poiché lo scopo fondamentale di Upasana è di realizzare l’Unità  dell’individuale e del cosmo.

L’individuale è in contatto dinamico con il cosmo a tutti i livelli, fisico, mentale e spirituale. E’ ciò che pratichiamo durante le nostre meditazioni guidate.

Questo contatto è della natura dell’equilibrio dinamico, ciò implica uno scambio a due sensi. Questo principio di equilibrio universale o armonia, che governa l’esistenza fisica, morale e spirituale di tutti gli esseri è conosciuto sotto il nome di Rtam. Noi riceviamo incessantemente dei doni dall’universo e siamo impazienti di riceverne ancora di più, vogliamo più cibo, più denaro, più piaceri. Ma per far equilibrare questi doni, dobbiamo restituire all’universo l’equivalente di ciò che abbiamo ricevuto. Ma non di più.

Gli Antichi saggi hanno anche scoperto che ciò che riceviamo era determinato da ciò che avevamo dato.

Hanno chiamato questa verità la legge del Karma. E’ ciò che si dà, si riceve, si restituisce, che determina il modo in cui la legge agisce. I saggi hanno compreso che era l’assenza del ritorno alla corrente universale della vita, che sconvolge l’armonia (Rtam) e produce i dispiaceri, i conflitti e i guai nella vita di una persona. Cosi, hanno fatto di questo principio, restituire all’Universo, una disciplina maggiore chiamata yajna o “dono”.

Questi tre concetti, rtam, karma e yajna, sono strettamente legati tra loro.

L’assoggettamento, l sofferenze sono dovute al non-rispetto della legge di yajna (del dono).

La Gita insiste su questo punto: “E’ il compimento di azioni, senza il disegno di yajna o dono, che causa l’assoggettamento nel mondo”.

Upasana, la meditazione, non è una semplice concentrazione su certe parti del corpo o della mente.. deve essere considerata come un tentativo per restaurare l’armonia, l’equilibrio al più alto livello, il livello spirituale. E’ un processo di “rimborso” spirituale, il dono dell’anima individuale all’Anima suprema.

Non è sufficiente effettuare un lavoro seguito da un po’ di meditazione, non è sufficiente ricordarsi di Dio di tanto in tanto nel mezzo di un lavoro. Ciò che è necessario, è che il lavoro diventi il prolungamento delal meditazione e che la meditazione diventi il dono dello spirito individuale allo Spirito Supremo.

La meditazione deve diventare un fiotto incessante di coscienza umana nell’esistenza cosmica. Allora soltanto, il conflitto tra il lavoro e il culto, tra il sacro e il profano sparirà. Allora soltanto, la vita meditativa diverrà naturale, l’espressione continua e spontanea della gloria della pura Esistenza-Coscienza-Beatitudine (Sat Cit Ananda)