Swami Veetamohananda
Traduzione
a cura di Franca Mussa
Vivere una vita naturale, è vivere in modo stabile e spontaneo.
Per questo,
bisogna indurre, lungo la giornata,il risveglio della coscienza, che provocherà
la sua trasformazione.
No proviamo a
farlo meditando una o due ore al giorno. Ma, se il resto della giornata
trascorre in modo inconsapevole, agitato, trascurato e meccanico, ciò
cancellerà tutti gli effetti della nostra meditazione.
Poiché la meditazione
diviene un mezzo rapido di trasformazione solo se la coscienza meditativa è
continua, cioè, quando tutti i pensieri e le azioni sono sostenuti da una calma
interiore e dalla piena coscienza di sé.
Il perdurare di una coscienza meditativa può
essere mantenuto solo quando la vita meditativa è diventata spontanea senza
sforzo. Alcuni fra di voi hanno forse
letto il libro di Frère Lourent
:”La pratica della presenza di Dio”.
Frère
Lourent ci esorta a mantenere costante l’idea di Dio.
A prima vista, ciò può sembrare una tecnica semplice e facile. Ma nella pratica
reale, niente è più difficile.
Se con il
semplice potere della volontà, si cerca di imporre un tale ricordo continuo
alla mente, il risultato sarà una tensione, così forte che poche persone potranno
sopportarlo a lungo. La verità, è che la presenza di Dio non è qualcosa da
essere “praticata”! E’ un’esperienza spontanea, che vive in voi tutto il temo e
che voi non potete dimenticare, anche se lo volete. Ciò che consiglia Frère Lourant, praticare la
presenza costante di Dio, è in effetti di mantenere una coscienza meditativa
permanete. Ciò diventa un esercizio facile, creativo, gioioso, solo quando la
meditazione stessa è diventata naturale e spontanea.
Che cos’è la
spontaneità? Come definirla?
Tutto ciò che
facciamo senza sforzo non è necessariamente un’azione spontanea. Con la
pratica, andare in bicicletta, nuotare, suonare il piano e altre attività
simili, si fanno senza sforzo, ma ciò appartiene a ciò che gli scienziati
chiamano riflessi incondizionati. La spontaneità è tutto il contrario del
condizionamento.
E’ una
risposta totale della personalità globale, che non è stata condizionata da
esperienze precedenti.
L’idea di
splendore che una farfalla evoca in un bambino, la meraviglia davanti a uno
splendente tramonto o la compassione di forte a colui ce soffre, sono una
risposta spontanea che implica l’intera personalità.
C’è un altro
tipo di esperienza spontanea superiore, ma più rara, chiamata “misticismo
naturale”. Alcune persone, in particolare adolescenti e artisti, entrano
spontaneamente in uno stato di vigilanza. Ad occhi aperti, vi ritrovate
all’improvviso nel cuore di una calma interiore, in un silenzio radioso in cui
gli alberi, le case, l’erba,le persone,le colline, le strade, il cielo, le
nuvole…, tutto appare intensamente splendente, reale, pieno di una impalpabile
presenza viva.
Voi sentite
che siete una parte inseparabile di una vita di dimensione superiore, in cui il
mondo non è che una rappresentazione immaginata. Il passato e il futuro
scancellano, il tempo si immobilizza e voi esistete in un infinito presente.
Voi siete sena desideri, senza progetti, pieni della calma bellezza e della
pace della pura coscienza. L’esistenza stessa diventa gioia.
Queste
esperienze accadono a molte persone, ma pochi sono quelli che hanno la fortuna
di comprenderle. E’ per questo che la vita nella natura fa parte integrante del
nostro programma nei seminari. I maestri Zen riconoscono il significato di tali
esperienze e cercano di trasformarle in un primo gradino verso esperienze
spirituali più elevate.
Con la
cerimonia del tè, i giardini di sabbia e altre usanze, il “misticismo naturale”
è diventato un tratto caratteristico della cultura giapponese. Queste
esperienze semi-mistiche non hanno abitualmente alcun valore a contenuto
religioso, e non possono produrre una trasformazione stabile del carattere o
della coscienza. Ma con la liberazione della spontaneità e il senso di unità
con la vita cosmica, creano una vita naturale, fresca e gioiosa.
In un contrasto
sorprendente,la vita di meditazione che l’aspirante spirituale medio conduce, è
piena di lotte, e chiusa talmente da regole e costrizioni che la spontaneità è
spenta e l’anima separata dalla vita cosmica.
In molti, la
meditazione impegna solo una parte della mente e non riesce a provocar una
risposta completa.
Alcuni
aspiranti, invece di provare a svilupparsi dalla propria legge del loro essere,
cercano di seguire o di imitare le vie di altre persone.
Il risultato è che la vita
meditativa di molti di loro, resta isolata, senza interesse superficiale, senza
creatività, senza relazione con la realtà,
dell’esistenza e senza gioia. E’ possibile rendere al vita spirituale
libera, fresca, spontanea, naturale, continua, unificata e gioiosa?
Una vita
meditativa diventa spontanea solo quando la Buddhi
(l’intelletto), il cuore spirituale, è risvegliato, cioè quando l’io
individuale emerge alla superficie della mente cosciente e prende in carica i
nostri pensieri e tutte le nostre
azioni. La meditazione è un tentativo per elevarsi da uno stato di coscienza
inferiore a uno stato di coscienza superiore.
Diventa
facile e naturale solo quando la Buddhi
risvegliata esercita una trazione verso l’alto. Tuttavia, questo risveglio
superiore impiega parecchio tempo a prodursi.
Che possiamo
fare fino a quando non succede questo o se questo non succede?
E’ possibile
accelerare questo processo di risveglio intensificando lo sforzo per
attraversare rapidamente questa prima fase sgradevole.
Beninteso,
ciò significa lotte più gravi, ma coloro che sono abitati da una intensa
aspirazione, le affrontano volentieri. E’ anche possibile, ridurre gli ostacoli
alla spontaneità e alla continuità a
rendere la vita meditativa più naturale.
Il primo
passo verso la vita cosciente è di semplificare la propria vita. La semplicità
non significa soltanto possedere poche cose,o avere uno stile di vita scarno.
La cosa più
importante è di semplificare la propria via mentale.
La semplicità
mentale presenta parecchi aspetti: Uno di essi è la semplicità intellettuale.
Una mente piena di ogni sorta di idee indigeste e scucite è un grande ostacolo
alla serenità.
La conoscenza
ottenuta dai libri e grazie ai professori deve essere sistematizzata
scientificamente, cioè dobbiamo comprendere come le differenti idee che
raccogliamo sono connesse tra loro. Nello stesso tempo, queste idee devono
essere integrate alla nostra vita. Ciò fa appello a una filosofia fondamentale
della vita.
Ogni
aspirante spirituale deve sviluppare la propria filosofia mescolando sapere ed
esperienza.
Le Scritture
e i diversi sistemi filosofici ci sono per guidarlo e per aiutarlo a sviluppare
la sua propria filosofia di vita. Lo sviluppo di una personale filosofia ci
permetterà di stabilire delle relazioni adattate alle persone e al mondo che ci
circonda, di meglio comprendere i problemi della vita, di ridurre le nostre
preoccupazioni e, mettendo rodine nei pensieri e nelle emozioni, lascerà ala
nostra mente più spazio per Dio e tutto ciò che riguarda la spiritualità.
Il secondo
aspetto della semplicità mentale è la semplicità della fede. Si può possedere
il sapere di un erudito , ma bisogna avere la fede di un bambino, dice una Upanishad.
Che cos’è la fede? La fede è
l’accettazione dell’ordine naturale delle cose dell’universo. Se ci auguriamo
di vivere in armonia con Dio, dobbiamo aver fede sul mondo e il nostro
ambiente. Senza una semplicità naturale della fede, la vita diventa
artificiale, incerta, infelice. Un altro aspetto della semplicità mentale è
quello di far cadere le maschere che portiamo.
Sostenere di
essere ciò che non siamo, è un compito futile e una perdita di energia.
L’ipocrisia e la vanità soffocano le sorgenti della spontaneità. Accettarsi coi
propri limiti e idiosincrasie è del tutto indispensabile per avere una vita
naturale meditativa o cosciente.
Un altro
aspetto, ancora, delle semplicità mentale è la semplicità di condotta. Gli
aspiranti spirituali hanno la tendenza a sovraccaricarsi di troppo regole, di
voti, di rituali e di osservanze. Certi, senza dubbio, sono necessari durante
le prime tappe della vita spirituale, ma troppa dipendenza da questi,
intralcerà la mobilità dell’anima.
Man mano che
l’aspirante progredisce, deve abbandonare i primi sostegni e tenersi a supporti più elevati che sono
invariabilmente più semplici e meno restrittivi.
Troppi
scrupolo trasformano la vita spirituale in una forma di tortura personale.
La vera
semplicità implica sempre di trascendere sia la virtù sia il vizio, almeno fino
ad un certo punto. La semplicità è l’onesta dell’anima. La spontaneità è una
risposta totale dell’intera personalità. Se vogliamo rendere la nostra vita
naturale e stabile, dobbiamo arrivare all’integrazione dalla nostra
personalità.
Per molte
persone, le emozioni vanno in un senso, la vita intellettuale in un altro e le
azioni seguono una terza via. Per loro,la vita spirituale è l’intensificazione
dell’una o dell’altra di queste facoltà. In realtà, la spiritualità non è né
un’emozione, né un ragionamento, né un’azione. E’ direttamente collegata allo
“spirito” il vero Sé. Il Sé è il cuore di tutta la personalità. E’ il centro
attorno a cui la personalità tutta intera deve essere integrata.
Nella vita
corrente, ci vogliono diversi anni ad una persona matura per ottenere un certo
grado di integrazione della sua personalità o pienezza. Ciò portò il dott. Jung a pensare che il Sé è qualche cosa che si è “creata”
abbastanza tardi nella psiche umana, un processo che egli chiama
“individualizzazione”.
Ma il
pensiero vedantico considera il vero Sé come un
principio di pura coscienza, non—creato, esistente in se stesso d a tutta
l’eternità.
Tuttavia
nella vita ordinaria, questo vero Sé resta velato o nascosto e così, la maggior
parte delle persone non sono coscienti della sua reale natura.
Il Sé è il
nostro dentro più profondo, è il nostro più vero e naturale stato, il nostro
essere più semplice. Più ci avviciniamo al nostro Sé, più la vita diventa vera,
naturale e spontanea. Più ce ne allontaniamo, più la nostra vita diventa
artificiale e dispersa.
Tutto nel
mondo, tutto in noi, il corpo, la mente, i pensieri, le azioni, è discontinuo,
salvo il Sé, l’Atman. Lui solo è immutabile e
impassibile. Ecco perché, se vogliamo avere una coscienza meditativa,
ricordarci di Dio, o ripetere senza sosta il suo nome divino, dobbiamo fissarci
sul Sé.
L’Amtan è “il granaio dei ricordi” della coscienza e dunque
più l’avviciniamo, maggiore diventa la nostra coscienza e più forte la nostra
memoria. Più ce ne allontaniamo, più dimentichiamo.
Così, l’unico
modo di rendere la nostra vita meditativa naturale e stabile è di scoprire il
nostro vero Sé e d immergerci in Lui. E grazie alla meditazione che possiamo
raggiungere questo centro di coscienza.
Il rituale,
lo studio, la preghiera e il culto non sono che dei mezzi indiretti, la
meditazione invece ci conduce direttamente al nostro Sé.
Le Upanishad
dicono: “All’inizio, Dio solo esisteva. Era l’Essere puro, l’Uno sena
secondo. Poi egli volle: Che io divenga molti, che io mi moltiplichi. E
l’universo intero con le sue miriadi di esseri fu proiettato fuori da questo
Essere unico”.
E’ la
creazione macroscopica. Una creazione microscopia analoga sembra proseguire
perpetuamente in noi. La conoscenza non è che una manifestazione della
coscienza. Secondo i Tanta, i pensieri non sono che forme del “potere della
coscienza”.
Esattamente
come le scintille sprizzano dal fuoco, o come un impulso elettrico esce dalla
dinamo, così la conoscenza emerge senza sosta dal Sé. E’ l’auto-proiezione
dell’Atman che è la forza di base e che
proietta la mente i sensi verso i loro oggetti.
E’ la
sorgente di ogni conoscenza, di ogni creatività. Ma la creazione è nello stesso
tempo una forma di distruzione , la proiezione del sé verso l’esterno, una
forma di autoesilio.
Tutto avviene
come se noi fossimo continuamente esiliati dal centro del nostro essere, come
se ci perdessimo senza sosta. Ciò porta una disarmonia in noi, è la sorgente di
tutti i nostri guai. Durante il sono profondo, il Sé ripiega i suoi poteri in
se stesso, esattamente come il sole, ripiega i suoi raggi al tramonto. Così,
solamente durate il sonno, siamo noi nel nostro stato naturale. Tuttavia,
questo stato è inconscio.
E’ con lo
yoga, specialmente lo yoga della meditazione, che l’uomo vince al forze
centrifuga della sua creazione interna, la spinta verso l’sterno della sua
propria proiezione. Lo yoga è l’universo
della creazione. E’ un tentativo cosciente e volontario per riunire i poteri
sparsi della coscienza e dirigerli verso la loro sorgente, il Sé.
Nella
meditazione profonda, tutti i pensieri si fondono in uno solo e questo unico
pensiero affonda allora nella luce dell’Atman
, come fa un pistone nel cilindro del motore. La meditazione è un tentativo
per restare consciamente nel suo stato naturale. E’ una specie di sonno
cosciente, diciamo, un centro-sono.
Non è possibile
per la maggior parte delle persone restare a lungo assorbiti nella meditazione.
E non è neppure necessario. Ciò che è importante, è tenersi al cento del
proprio Sé cosciente ad ogni istante, anche quando si è impegnati nelle diverse
attività della vita.
Non è
difficile, perché noi pensiamo e diciamo “io” quasi tutto il tempo. Ciò che
dobbiamo fare, è tenere questo “io” ancorato al cuore, la sede del vero Sé e
non permettergli di vagabondare troppo lontano da questo centro. Così avremo
sempre voglia di tornare al nostro vero culto. Questa specie di “ricordo di sé”
richiama Dio e rende il nome divino facile da praticare.
In effetti, è
più facile agganciarsi a un soggetto che ha un oggetto.
Due ostacoli
maggiori insorgono per ottenere una vita stabile e spontanea: uno è la presenza
di grandi zone d’inconscio nella mente, l’altro l’influenza del passato sulla
nostra vita presente.
La vita
spirituale è una vita cosciente. Infatti, è una lotta per a coscienza per una coscienza più grande è più elevata. Ma
quando osserviamo l nostra vita, ci accorgiamo che la sfera della nostra
coscienza attuale è molto limitata.
Molte pie
persone, prendono, al mattino, la decisione di ricordarsi di Dio per tutta la
giornata. Ma si accorgono presto di averlo dimenticato quasi tutto il tempo. Il
motivo è che la mente cosciente non è che un’isola minuscola in mezzo
all’oceano dell’inconscio, e che questa isola è costantemente sommersa dalle
onde. Gli aspiranti spirituali devono chiaramente capire ciò che la vita
cosciente significa realmente. La vita cosciente è quella in cui si torva la
coscienza di sé. Possiamo essere coscienti delle cose che manipoliamo, delle
persone che sono attorno a no, dal cibo che mangiamo, ma siamo raramente
coscienti che ne siamo coscienti.
La nostra
cosiddetta coscienza non è che una identificazione con gli oggetti che sono
attorno a noi, e noi siamo trascinati dalla corrente inconscia della vita.
La maggior
parte dei problemi della nostra vita, sono il risultato diretto o indiretto
della vita inconscia che conduciamo.
Nelle camere
oscure dell’inconscio si nascondono gli istinti e le pulsioni di invidia, di
collera, di avidità, di egoismo e di violenza.
Questi
istinti e pulsioni balzano sull’anima come delle tigri affamate sulla preda,
appena la mente conscia cede davanti all’inconscio. Le preoccupazioni, le
tensioni, i conflitti e le malattie psicopatiche trionfano su di noi solo se
l’inconscio domina la nostra vita.
Una persona
normale conosce pochissime cose del suo inconscio.
E la
meditazione che rivela la sua presenza e il suo funzionamento.
Quando ci
sediamo per meditare o per ripetere il nome di Dio, ogni sorta di pensieri
viene a distrarci. Sono i pensieri e le esperienze del passato che, di solito,
sono conservate nell’inconscio da controlli subliminali sicuri. La meditazione
è una forma di rilassamento e questo rilassamento, come accade durante il
sogno, sopprime il controllo subliminale e di lì libera i pensieri
imprigionati. A meno che l’inconscio non sia portato sotto il controllo del conscio,
almeno fino a un certo punto, la meditazione è difficile e mantenere una
coscienza meditativa continua è impossibile.
La finalità
della vita spirituale non è semplicemente d vivere una vita cosciente am ugualmente ottenere una esperienza del superconscio.
Tuttavia, è
impossibile andare al di là del conscio finché dimora imprigionato
dall’inconscio. Così la vita spirituale implica due tipi di lotta: controllare
l’inconscio e trascendere l’inconscio. Come controllare l’inconscio? Ci sono
diversi modi di farlo. In ciascuno di noi, dei controlli subliminali tengono in
scacco l’inconscio e i suoi contenuti indesiderabili, ma sono meccanismi
incontrollati. Ciò di cui abbiamo bisogno è un controllo conscio. Ciò significa
portare la coscienza nell’inconscio. Il controllo cosciente dell’inconscio è
chiamato “nirodha” da Patanjali.
Al contrario della rimozione che è un processo inconscio, il nirodha è il risultato di un esercizio cosciente del
potere della volontà durante un lungo periodo di tempo.
Ci sono tre
metodi per compiere nirodha Uno è la
via logica. I anali Ida e Pingala
forniscono l’energia psichica all’inconscio. Se si controllano anche
l’inconscio è controllato. E se il controllo è effettuato correttamente,
insieme a una purificazione della mente e ad una intensa aspirazione, il Su
summa si apre e l’aspirante fa l’esperienza del superconscio. Swami Vivekananda dice: “Così,
noi vediamo ora che ci deve essere un lavoro a doppia faccia. Prima, con
l’azione stessa di Ida e di Pingala,
che sono le due correnti normali esistenti, si controlla l’inconscio; e in
seguito si va al di là della stessa coscienza.
I diversi
esercizi di Hata Yoga, in particolare il pranayama, hanno come scopo di portare sotto
controllo il meccanismo dell’inconscio interamente, padroneggiando la
fisiologia umana, benché erte persone dimentichino questo scopo e convertono
gli esercizi in una forma di culto per il corpo.
Il secondo
metodo è la preghiera e l’abbandono di sé. La preghiera apre le camere del
cuore all’influsso del potere divino.
Proprio come
il campo magnetico, in un magnetofono cancella una canzone registrata s una
cassetta smagnetizzandola, così il potere divino cancella le impressioni del
passato nell’inconscio. Con una preghiera intensa, l’inconscio intero viene
rapidamente sotto controllo.
Il terzo modo
riottenere nirodha è la meditazione. Per un
debuttante, meditare è come aprire il vaso di Pandora, ma se persiste, la
coscienza penetra sempre di più profondamente nell’inconscio, e ne modera i
movimenti capricciosi.
E quando la buddhi si sveglia, la luce della coscienza superiore
o intuizione superiore, illumina gli angoli e i recessi oscuri dell’inconscio
consuma tutte le impurità.
Poco a
poco,l’aspirante impara che la coscienza meditativa può penetrare
nell’inconscio in qualunque modo, anche quando non è seduto per meditare, e
anche quando è impegnato nel lavoro. Con la pratica, la coscienza può
dispiegarsi in tute le parti della personalità, per esempio, può essere potata
nel corpo fisico per guarire le malattie e anche nello stato di sogno per
impedire l’aumento degli incubi.
Essere
costantemente coscienti di ogni pensiero e di ogni azione è il modo migliore di
controllare l’inconscio.
Buddha chiamava questo “la memoria pura” e
l’includeva nel suo “Nobile Ottuplice Sentiero”.
Gli antichi yogi buddisti chiamavano questa pratica samprajanya.
La definiscono così:” Essere costantemente testimoni di ogni stato del
corpo e della mente è in breve, la natura di samprajanya”
I buddisti
delle scuole del sud (Theravada) chiamano questa
tecnica Vipassana o visione interiore. E’ per
loro una tecnica spirituale totalmente importante, che considerano il samadhi o assorbimento come uno stato che le è
interiore.
In effetti,
dispiegare la coscienza in tutte le sfere dell’azione e del pensiero in ogni
istante, è un modo più efficace di trasformarsi in coscienza divina, che
passare una o due ore al giorno seduti a meditare.
Ciò che rende
questa pratica difficile è al nostra abitudine di giudicare, di scegliere, di
influenzare le cose e le persone senza sosta, ciò che produce tensione e
conflitti.
Una volta che
abbiamo abbandonato questa abitudine, la coscienza meditativa diventa facile e
naturale. Un altro elemento tuttavia è necessario per rendere la vita
meditativa stabile e spontanea, è l’unità con l’Infinito. Se la meditazione
fosse solamente un’osservazione senza fine di ogni movimento del corpo ed ella
mente, ciò non sarebbe nient’altro che narcisismo spirituale. Ciò può essere
valido in certe forme di meditazione logiche e buddiste, ma non lo è n4ella meditazione vedantica
conosciuta sotto il nome di Upasana. Poiché lo
scopo fondamentale di Upasana è di realizzare
l’Unità dell’individuale e del cosmo.
L’individuale
è in contatto dinamico con il cosmo a tutti i livelli, fisico, mentale e spirituale.
E’ ciò che pratichiamo durante le nostre meditazioni guidate.
Questo
contatto è della natura dell’equilibrio dinamico, ciò implica uno scambio a due
sensi. Questo principio di equilibrio universale o armonia, che governa
l’esistenza fisica, morale e spirituale di tutti gli esseri è conosciuto sotto
il nome di Rtam. Noi riceviamo incessantemente
dei doni dall’universo e siamo impazienti di riceverne ancora di più, vogliamo
più cibo, più denaro, più piaceri. Ma per far equilibrare questi doni, dobbiamo
restituire all’universo l’equivalente di ciò che abbiamo ricevuto. Ma non di
più.
Gli Antichi saggi hanno anche scoperto che ciò che riceviamo era determinato da ciò che avevamo dato.
Hanno
chiamato questa verità la legge del Karma. E’ ciò che si dà, si riceve,
si restituisce, che determina il modo in cui la legge agisce. I saggi hanno
compreso che era l’assenza del ritorno alla corrente universale della vita, che
sconvolge l’armonia (Rtam) e produce i
dispiaceri, i conflitti e i guai nella vita di una persona. Cosi, hanno fatto
di questo principio, restituire all’Universo, una disciplina maggiore chiamata yajna o “dono”.
Questi tre
concetti, rtam, karma e yajna, sono strettamente legati tra loro.
L’assoggettamento,
l sofferenze sono dovute al non-rispetto della legge di yajna
(del dono).
La Gita
insiste su questo punto: “E’ il compimento di azioni, senza il disegno di yajna o dono, che causa l’assoggettamento nel
mondo”.
Upasana, la meditazione, non è una
semplice concentrazione su certe parti del corpo o della mente.. deve essere
considerata come un tentativo per restaurare l’armonia, l’equilibrio al più
alto livello, il livello spirituale. E’ un processo di “rimborso” spirituale,
il dono dell’anima individuale all’Anima suprema.
Non è
sufficiente effettuare un lavoro seguito da un po’ di meditazione, non è
sufficiente ricordarsi di Dio di tanto in tanto nel mezzo di un lavoro. Ciò che
è necessario, è che il lavoro diventi il prolungamento delal
meditazione e che la meditazione diventi il dono dello spirito individuale allo
Spirito Supremo.
La
meditazione deve diventare un fiotto incessante di coscienza umana
nell’esistenza cosmica. Allora soltanto, il conflitto tra il lavoro e il culto,
tra il sacro e il profano sparirà. Allora soltanto, la vita meditativa diverrà
naturale, l’espressione continua e spontanea della gloria della pura Esistenza-Coscienza-Beatitudine (Sat
Cit Ananda)