Swami Veetamohananda

 

La destrezza nell’azione

Traduzione a cura di Franca Mussa [n.13]

 

Sisifo, re d Corinto e figlio di Eolo, è per noi una personalità interessante della mitologia greca, perché presenta un significato profondo. Era un furfante molto scaltro, che continuava a trarre in inganno gli Dei e persino, una volta arrivò ad incatenare la Morte sessa. Infine gli Dei riuscirono a mandarlo all’Ade, il Dio degli inferi, che, come punizione per le sue cattive azioni, lo condannò a rotolare un enorme blocco di roccia fino alla cima di una collina. Ma il masso gli sfuggiva ogni volta che si trovava verso la cima e ritornava indietro. Si dice che egli tenta ancora di rotolare invano il masso.

Non abbiamo qualche volta il senso che la nostra vita non sia nient’altro che una catena senza fine di azioni inutili come il lavoro di Sisifo?

Giorno dopo giorno, noi lavoriamo e tuttavia abbiamo l’impressione di non arrivare da nessuna parte! Il nostro cuore reclama la pace e la felicità. Facciamo tutto ciò che posiamo per ottenerle. Ma ci sembrano sempre sfuggirci e abbiamo bisogno senza sosta di svago per uscire dalla monotonia e dal tedio che genera inevitabilmente il nostro lavoro.

Noi agiamo allora con la sola idea di sfuggire al lavoro e di avere del tempo libero.

Tuttavia comprendiamo presto che la diversione e lo svago non sono che sostituti per una vera realizzazione. E più spesso del necessario, ciò non fa che rendere la nostra vita senza interesse e senza significato.

Qual è dunque la causa di questa situazione tipicamente umana che prende la forma di crisi in questa epoca moderna?

Si può dire che l’uomo colto ha ei bisogni superiori non biologici chiamati “valori” e che il lavoro, o il mondo in cui il lavoro è compiuto, non riesce a soddisfarli.

Noi possediamo un’aspirazione innata a sperimentare il Vero il Bello e il Buono e sentiamo che il bisogno creativo di esprimere queste esperienze nella conoscenza, nell’amore e nell’arte. Il lavoro può avere senso solo se diviene il mezzo che porta a una esperienza superiore e ad un atto di espressione personale. Un operaio che passa le sue giornate ad avvitare bulloni in una catena lo considera come un mezzo di sostentamento.

Il suo lavoro non gli appartiene realmente; appartiene al proprietario. Quando sta al suo posto di lavoro, si allontana dal suo “sé” e attende con impazienza di fermarsi per fare ciò che gli piace, qualcosa che sarà l’espressione del suo bisogno creativo, qualcosa che gli permetterà di riunire il suo “sé” disperso.

Del tutto diverso è il caso del vero artista o del grande scienziato impegnato in una ricerca. Il lavoro per loro non è unicamente un mezzo per vivere, è anche l’espressione del loro bisogno creativo più elevato! Esso non divide il loro “sé”. Queste persone hanno minore bisogno di svaghi e di distensione, il lavoro stesso li porta alla realizzazione.

Questa nozione del lavoro che allontana dal “sé” ha una grande importanza nella vita spirituale. La vita spirituale è una risposta completa dell’aspirante alla realtà, e se una parte di lui è separata dal tutto e si impegna in una attività che non ha apporto con la realtà, la sua risposta non può essere totale.

La lotta principale nella vita spirituale è di raggiungere la coscienza superiore. Ciò diventa possibile solo se l’intera personalità è perfettamente integrata e se ogni sforzo è direttamente legato alla lotta per la coscienza. E’ solo quando le energie fisiche e mentali sono dirette verso la ricerca spirituale, che l’anima può abbattere gli ostacoli e prendere d’assalto la cittadella della coscienza superiore.

In altri termini, il lavoro, qualunque sia la natura, deve diventare una disciplina spirituale; se no diventa un peso per l’anima e un pozzo perduto per le sue risorse spirituali. Sopratutto in questi tempi moderni, in cui il lavoro è diventato una necessità sociale inevitabile, la riuscita nella ricerca spirituale è in gran parte determinata dalla nostra capacità di integrarla con il lavoro.

Lo scopo, la meta di un aspirante è superiore a quella di un artista o di uno scienziato.

Allora, il lavoro può divenire l’espressione dell’aspirazione spirituale e il mezzo per giungere a una esperienza trascendentale? Da un lato, l’aspirante deve lavorare per soddisfare i suoi bisogni fisici e i suoi obblighi sociali; dall’altro, deve trascendere i suoi limiti fisici e sociali. Questi due sforzi possono essere conciliati? Ecco due domande importanti che hanno attirato l’attenzione di alcune delle più grandi menti dell’India da secoli e che l’aspirante deve risolvere da se stesso.

Il lavoro ordinario ha un effetto d palla di neve; un lavoro porta ad un altro e più lavoriamo, più ne arriva e più n siamo incatenati. Il lavoro deve essere trasformato in un mezzo per uscire dal turbine in cui il “sé” è preso. Ciò è possibile grazie a una tecnica che permette alla Natura di agire e di liberare progressivamente il “sé” dal suo impegno nel lavoro.

E ciò che intendiamo con “destrezza nell’azione”. Questa destrezza trova le sue basi nella mente, non nel lavoro esteriore. Il karma-yoga è una reale disciplina mentale che permette di controllare la mente. La mente non può essere controllata che da un elemento superiore, ho nominato l’intelletto o buddhi. L’intelletto è la sede della volontà pura e della pura coscienza. A meno di sviluppare questa facoltà intuitiva superiore, fino a un certo punto,  impossibile praticare il karma-yoga. Infatti, è solo quando l’intelletto emerge, si f avanti e rende in carico il lavoro, che ciò diventa karma-yoga, cioè la “destrezza nell’azione”.

Vediamo ora quali sono le condizioni di trasformazione del lavoro in karma-yoga.

Per convertire un lavoro ordinario in karma-yoga devono essere soddisfatte cere condizioni mentali. L’aspirazione, il distacco, la discriminazione sono le qualità fondamentali necessarie alla pratica di tutti gli yoga.

Nel karma-yoga l’aspirazione non significa soltanto il desiderio della propria salute, ma anche quello di benessere degli altri. Swami Vivekananda domanda: “Qual è l’interesse di una pratica spirituale o di una realizzazione che non gioverebbe agli altri, non condurrebbe al benessere delle persone immerse nell’ignoranza e nell’illusione, che non le aiuterebbe ad uscire dagli artigli della lussuria e della ricchezza? Pensate che, finché una sola anima (Jiva) soffrirà della schiavitù, voi otterrete la liberazione?” Bisogna sentire che si ha una meta precisa e connettere a questa tutte le proprie azioni.

Ecco ciò che si intende con la parola aspirazione. Il distacco di un karma-yogi (aspirante) è basato in primo luogo sul giusto vivere. Non ha valore spiritual per una persona che vive in modo virtuoso. Il distacco di un uomo impuro e egoista è solo crudele indifferenza. In secondo luogo, il distacco di un karma-yogi è basato sull’amore. Egli sa che solo una persona che è distaccata e sta fermamente nel suo proprio “sé” può amare tutti in modo uguale. In terzo luogo il distacco è basato su una attitudine di accoglienza che viene dalla coscienza di una esistenza che si stende aldilà. Accetta come inevitabili le polarità della vita, fortuna e sfortuna, gioia e dolore, amore e odio, bene e male.

Quest’attitudine di accettazione è la vera umiltà.

Il karma-yogi pratica sempre la discriminazione tra ciò che deve essere fatto e ciò che non deve essere fatto, tra l’eterno e impermanente. Fa scoppiare le frontiere del proprio “sé” e lo integra all’Essere cosmico.

Mantenere questa specie di aspirazione, di distacco e di discriminazione tra le attività di tutti i giorni è impossibile a meno che l’intelletto superiore (la buddhi) non sia sviluppata e svegliata fino a un certo punto.

La mente possiede due livelli: il conscio e l’inconscio e il lavoro può essere fatto con l’uno o con l’altro. Camminare, andare in bicicletta e le altre attività di routine come gran parte della nostra vita mentale, sono controllate dall’inconscio e dunque noi siamo raramente coscienti. Questa specie di lavoro inconscio non è yoga (destrezza).

Il lavoro diventa yoga solo se è un processo conscio e se persiste il ricordo continuo del “sé”.

Ciò non è possibile che sostenendo il lavoro con un intelletto superiore risvegliato. Per rendere chiaro e sviluppare l’intelletto, la buddhi, bisogna dare alla sua vitalità una direzione ascensionale. La libertà di interiorizzarsi, la libertà di staccare la propria volontà dai desideri è utilizzata dall’aspirante spirituale per proteggere il suo lavoro e rendere servizio ai suoi compagni di cammino. Nel suo caso, l’interiorizzarsi della mente ha per finalità di proiettare i suoi poteri interiori verso l’esterno per il benessere di tutti. Così, lo sforzo spirituale si dirige in due direzioni: verso l’interno per l’approfondimento e la concentrazione dei poteri mentali e verso l’esterno per la loro estensione e il loro impiego per il servizio degli altri.

Questo doppio movimento è una caratteristica importante della destrezza nel lavoro. Qual è dunque questo potere che si esteriorizza a fa prendere in carico le preoccupazioni degli altri? E’ il potere dell’amore, non l’amore egoista, quello dell’amore liberamente donato, e che non attende niente in ritorno. L’Amore è un aspetto inseparabile della destrezza. L’amore umano è di solito considerato come un’emozione pericolosa per il progresso spirituale. Questa interpretazione erronea è il risultato della sua identificazione con i desideri e gli istinti. L’amore vero non è né un’emozione né un desiderio. E’ un misterioso potere unificatore che è il marchio stesso dell’esistenza. E, in effetti, inseparabile dalla vita. E’ il ritmo di base che vibra attraverso tutta la creazione. Le sue espressioni sono infinite. Non è un elemento personale, voi non lo create, egli vi crea.

L’amore non può essere fabbricato.

E’ falso pensare che l’amore sia una creazione speciale dell’individuo o qualche cosa che si può acquisire. E’ un potere universale che sgorga spontaneamente in ogni essere vivente. La ragione principale dell’insuccesso in amore, è che molte persone non sono abbastanza mature per manipolare correttamente questa potenza naturale che si innalza in loro. Tutto ciò che, unifica l’uomo e unisce l’uomo a Dio è l’amore. Un fedele non dice a Dio “io ti amo”. Ricerca l’unione con lui. Così, l’amore un aspetto inseparabile della realtà, anche se il suo posto esatto nell’Ultima Realtà è oggetto di discordia tra i filosofi.

Per un aspirante l’amore ha forse più significato come espressione dell’Esistenza, sat. Tutta la vita è una e l’amore è un’espressione di quest’unità di vita e la solidarietà di base della creazione.

La destrezza nel lavoro armonizza le nostre attività al ritmo dell’amore universale. La differenza tra un aspirante spirituale che lavora e una persona che vive nel mondo sta nel modo di manipolare l’amore.

In primo luogo, la persona che vive nel mondo ha pochissimo amore, poiché ostruisce il flusso dell’amore universale che si offre a  lei, con l’odio, le gelosia, l’invidia e le altre emozioni negative che la abitano. Nell’aspirante che pratica la destrezza (karma-yoga) nel lavoro, l’amore scorre in lui come un fiume. In secondo luogo, la persona ordinaria ceca di impedire che il poco amore che ha ricevuto scorra via da sé e che raggiunga gli altri, ma riesce solo a creare in lei un vortice o un pozzo perduto. Il risultato, è che l’amore si trasforma in una sorgente di conflitti e torture. Una terza differenza sta nel fatto che la persona ordinaria è incosciente del potere dell’amore. Il suo amore è istintivo e spento.

Scorre in lui come un fiume. In secondo luogo, la persona ordinaria cerca di impedire che il poco amore che ha ricevuto scorra via da sé e che raggiunga gli altri, ma riesce solo a creare in lui un vortice o un pozzo perduto. Il risultato, è che l’amore si trasforma in una sorgente di conflitti e di torture.

Una terza differenza sta nel fatto che la persona ordinaria è incosciente del potere dell’amore. Il suo amore è istintivo e spento. E’ una reazione all’altitudine degli altri. E’ più o meno una vittima impotente dell’amore. L’aspirante sincero, invece, è pienamente cosciente dell’immenso potere dell’amore che è il suo maestro e il suo controllore. L’amore scorre da lui verso gli altri in modo regolare ma abbondante. Non tenta di attaccarsi agli altri, ma aiuta e guida ognuno sulla propria via verso la meta suprema.

Così, l’interiorizzazione della mente con il lavoro e la regolazione cosciente, matura e disinteressata della corrente d’amore verso il benessere del mondo, sono le due caratteristiche più importanti della destrezza nell’azione.

La destrezza nell’azione è basata  su certi principi che hanno un valore  universale:

-         il primo è il carattere naturale del lavoro disinteressato.

Benché pensiamo di svolgere il nostro lavoro con la sola forza di volontà, ogni lavoro fa parte della corrente universale della vita. “In verità nessuno resta mai neanche un secondo, senza lavoro; perché ognuno è condotto senza che egli possa farci niente, dalle energie della Natura” Come il lavoro fisico provoca al trasformazione dell’energia fisica, così, il karma, l’azione provoca al trasformazione dell’energia di vita.

Questi movimenti di vita non sono che una parte del vasto e misterioso movimento che abita l’universo. Dagli elettroni alle super galassie, tutto l’universo è in movimento senza sosta.

Anche quando pensiamo che siamo noi a muovere le gambe o le braccia, ciò che avviene realmente, è che l’energia solare, conservata come energia potenziale nelle cellule del corpo, è trasformata in energia cinetica. Noi non possiamo che regolare o cambiare il corso di questo movimento che è già presente in noi e attorno a noi, da ogni parte. Così non posiamo produrre veramente i nostri pensieri. Questi si alzano in noi dal movimento dell’energia divina che attiva i samskara dormienti. Tutto ciò che possiamo fare è regolarne il flusso. Secondo Patanjali, la nostra mente non si ferma mai fino alla liberazione finale.

Anche durante il sonno profondo e il samadhi subliminale, le trasformazioni nella mente continuano. Tutto ciò ben dimostra che il movimento è universale ed increato.

La filosofia del Vedanta sostiene il  punto di vista che l’intero universo è il corpo di Dio, la sorgente di ogni movimento. La Bhagavad  Gita dichiara: “Il Signore stabilito nel cuore di tutti gli esseri, li fa girare come se fossero saliti su una macchina” Di conseguenza, ci insegna a praticare l’abbandono di sé a questo Primo Motore: “prendo rifugio in questo Purusa primordiale da cui scorre il movimento fin dall’origine”.

L’universo intero è in stato dinamico. Tutto, come ogni cellula del corpo, fa senza posa l lavoro che gli è attribuito, ciò che rende possibile la vita dell’organismo umano, così tutti gli esseri viventi lavorano al mantenimento del flusso incessante della corrente universale di vita. Ogni essere vivente sembra avere un ruolo da recitare nella misteriosa economia dell’esistenza.

Che cosa ci insegna questo? E’ che nessun lavoro è realmente un nostro fatto, e che l’azione disinteressata è un legge naturale.

L’ego cerca di appropriarsi di una parte dell’azione universale e proclama che è sua. Infatti, solo l’azione disinteressata esercitata dalla natura, può essere chiamata azione. L’azione egoista è soltanto una “reazione”; è la reazione dell’ego al flusso della corrente della vita nella personalità; è un tentativo disperato dell’ego per trattenere ciò che in realtà appartiene alla corrente universale. Ecco perché l’azione accompagnata da desideri provoca tanti lutti, tensioni, sofferenze.

L’egoismo è la sola causa di tutte le nostre sofferenze. Più siamo egoisti, più ci allontaniamo dalla corrente della vita; e più il nostro sforzo per riavvicinarci deve essere grande.

L’azione disinteressata è spontanea, naturale, rilassante, e pacifica. Non c’è nessun bisogno di inquietarsi troppo della nostra routine quotidiana e del nostro lavoro. La Natura fa realmente tutto ciò che è necessario per noi. Tutto ciò che dobbiamo fare, è comprendere come essa agisce – questo processo è chiamato apprendimento o educazione – e creare in noi un canale perché possa agire.

Come uno studente scrive le sue risposte a un esame? Egli tiene soltanto la biro. Il suo inconscio, che è la riserva di tutte le idee, assimilate o no, che gli aveva riunito prima, le mescola e ne nutre la sua penna. Lo studente è appena cosciente di tutto questo processo. Quasi tutte le nostre attività correnti e il nostro lavoro professionale sono fatte dall’azione della Natura che lavora attraverso il nostro inconscio. Se impariamo a dare fiducia alla natura e ci mettiamo in armonia con le sue azioni, possiamo effettuare il nostro lavoro in modo molto più efficace, disinteressato e senza inutili conflitti o tensioni.

La pace della mente e la libertà così ottenute possono essere allora utilizzate a cercare Dio.

-         Il secondo principio fondamentale della destrezza nel lavoro è la legge del sacrificio.

Ciò ha due implicazioni: Tutti gli esseri formano il corpo di Dio e l’energia di vita circola in lui. Ogni essere deve restituire alla corrente comune, ciò che gli ha preso. Questa legge implica anche che per raggiunger una felicità o una esperienza superiore, bisogna sacrificare una felicità o una esperienza minore. Finché non si è Raggiunta la meta più alta della vita, bisogna obbedire a questa legge. Solo una persona pienamente risvegliata è liberata da questo obbligo, benché possa rispettarlo e continuare praticare il servizio sociale per il benessere del mondo.

-         Il terzo principio fondamentale su cui la destrezza nel lavoro è basta, è he gli effetti del lavoro dipendono dallo stato di coscienza di chi agisce.

Non è importante ciò che facciamo, ma come lo facciamo.

Questo principio, evidentemente, non si applica che alle azioni virtuose e sane. La sorgente ultima di ogni energia di lavoro è il Divino, e dunque ogni specie di lavoro è sacra e può essere utilizzata come un mezzo di realizzazione personale.

Ma per questo, dobbiamo essere nello stato di coscienza confacente.

Ciò che ci lega al mondo non è il lavoro, ma sono i desideri e l’egoismo. Ciò, tuttavia, non vuol dire che dovremmo lavorare come una macchina o come un’ape. Il lavoro deve essere effettuato con una mente risvegliata, e una piena coscienza di sé. Dobbiamo ricordare che un lavoro disinteressato significa un lavoro senza desiderio e che deve sempre avere dietro di sé un essere risvegliato, distaccato e di grande levatura. Ogni attività deve distaccarsi dalla volontà e allargare la coscienza di sé. Se il sé è distaccato dai desideri, il lavoro nono produrrà più nuove tendenze (nuovi samskaras). E se il sé è distaccato dalla corrente della vita, tute le azioni saranno prese in carico dalla natura e i loro frutti, che appartengono anche alla natura, non ritorneranno all’autore.

Così, è lo stato di coscienza dell’individuo il fattore più importante nella trasformazione del lavoro ordinario in destrezza.

Questo stadio superiore di coscienza ci rivela due fattori importanti:

il primo, è che è possibile, mantenere questo stato, quali che siano le circostanze, nella vita di tutti i giorni;

il secondo, è che se si mantiene costantemente una coscienza superiore, questo trasforma la coscienza interiore molto più rapidamente. Poi, arriva il momento nella vita del ricercatore spirituale, in cui sente il bisogno di allargare il campo della sua coscienza. Non è più soddisfatto di qualche preghiera e di un po’ di meditazione e cerca di sviluppare una coscienza superiore in tutte le situazioni della vita, in ogni momento.

Cinque aspetti della vita richiedono una attenzione speciale:

1)      il corpo;

2)      la mente;

3)      il mondo;

4)      il lavoro;

5)      il sé.

Essi offrono importanti mezzi per sviluppare la nostra coscienza. Vediamo come:

1)      La coscienza del corpo: la forma più semplice di coscienza empirica è la coscienza del proprio corpo e tuttavia, paradossalmente è la più trascurata. Il trattamento spietato di certi

organi del corpo, dà spesso l’impressione che molti si occupino più dei loro animali domestici, delle loro vetture o della loro casa che del loro corpo. Tutti, certamente, sanno di avere un corpo, ma questa coscienza è falsa per molti, perché è acquisita per mezzo dell’inconscio. Almeno la metà delle malattie è causata dall’errata coscienza del corpo. Qual è il modo giusto di essere coscienti del proprio corpo? E’ la coscienza meditativa.

Il primo passo per coltivare una coscienza meditativa del corpo è di comprendere il suo linguaggio. Si, anche il corpo, parla il proprio linguaggio e comunica con il mondo attorno a lui, attraverso lui. Comprendendo questo linguaggio, possiamo comprendere i bisogni e le difficoltà dei diversi organi o sistemi.

Il secondo passo, è di permettere al corpo di funzionare in modo naturale evitando di essere troppo indulgenti, non utilizzando droghe e stimolazioni artificiali e conducendo una vita regolare.

Il passo seguente consiste nell’estendere la coscienza nelle diverse parti esistenti del corpo. Non è necessario utilizzare mezzi violenti per controllare un organo. Con una consapevolezza costante, tutte le funzioni del corpo si regolarizzano e si armonizzano in modo naturale. Quando avviene così, il corpo comincia a cooperare con noi nella nostra ricerca.

2)      La coscienza della mente:

Vale a dire, la coscienza dei pensieri. Ogni pensiero è na struttura a due velocità con una aperte affettiva inferiore e una parte astratta superiore.

La parte affettiva è della natura dell’emozione o del sentimento, amore, collera, paura  ecc. La parte astratta è della natura del concetto o dell’idea e consiste di parole e della loro immagine corrispondente. E’ prodotta dai desideri. Sono unicamente le emozioni e gli impulsi che creano l’agitazione della mente o altri problemi. Ma questi possono agire solo  se la volontà si connette con loro. Se la volontà non accorda il suo supporto, essi si affievoliscono e spariscono. In generale, noi stacchiamo la volontà solo quando cerchiamo di concentrarci. Per il resto del tempo, la volontà è attorniata da pulsioni che continuano a svilupparsi. Quando, con la pratica costante della coscienza, queste pulsioni perdono il supporto della volontà, diventano poco a poco più deboli e finiscono per sparire. Le idee, e le immagini, che costituiscono la parte astratta dei pensieri, possono allora continuare a sorgere nella mente, ma senza il supporto della parte affettiva, non possono più causarci problemi. Come delle nuvole che passano nel cielo, come dei viaggiatori che circolano silenziosamente su un cammino solitario, le parole e le forme attraversano la mente senza sconvolgere nulla. Bisogna notare qui che la meditazione ordinaria sulle immagini menali  ci dà soltanto la consapevolezza della mente. Se vogliamo  raggiungere una coscienza superiore con la meditazione, queste immagini devono essere considerate come inseparabili dal Sé e  mediazione si deve tenere al Centro del Sé interiore. Ecco perché si consiglia agli aspiranTi di meditare nel cuore spirituale, che è al sede del sé superiore, spesso simbolizzato da un loto.

3)      La coscienza del lavoro:

Il lavoro non è solamente un movimento del corpo. E’ una parte del movimento universale in cui il sé si esprime. L’espressione personale per mezzo del lavoro è noto sotto il termine di creatività. Il vero lavoro è sempre creativo. Ma, con l’eccezione di quello di qualche grande artista e scienziato, ciò che la maggior parte delle persone fa, o è forzata a fare per necessità economiche, è raramente creativo. Un lavoro non creativo, che allontana dal “sé” provoca stress e insoddisfazione e si presenta come uno dei più grandi problemi sociali. Non serve a niente biasimare il datore di lavoro o la società. La principale causa di stress nel lavoro è il conflitto tra i desideri e la responsabilità di prendere delle decisioni. Prendere delle decisioni richiede l’esercizio continuo della volontà. Siccome è resa schiava delle emozioni e degli istinti, non è libera nella maggior parte della gente, e il suo uso è condannato a produrre conflitti e tensioni. Oltre a ciò, la vita sociale moderna comporta una buona dose di repressione e di soppressione dei bisogni fondamentali dell’individuo. Il risultato di tutto ciò, è il blocco della creatività e dell’espressione personale. Il tempo di veglia di un normale membro della società moderna trascorre principalmente in stato di inibizione.

La pratica costante della coscienza meditativa sopprime le inibizioni e libera la volontà. Quando gli ostacoli alla creatività sono distrutti, ogni lavoro diventa un atto creativo. Ciò significa l’apertura di più canali per l’espressione personale. più il sé si esprime, Più si sviluppa e più grande diventa il suo campo di coscienza.

4)      La coscienza del mondo:

la riconciliazione del lavoro e della meditazione è solo una parte di un più grande schema di divinizzazione della nostra intera vita. E’ solo quando abbandoniamo la differenza tra il profano e il sacro che possiamo aprirci pienamente alla vita universale e raggiungere la pienezza della realizzazione del Sé.

5)      La coscienza del Sé:

“Il Sé è rivelato in ogni stato di coscienza” dichiara la Kena Upanishad. Ogni pensiero, ogni atto fisico produce un lampo di rivelazione del Sé in noi. Ma, assorbiti come siamo in una incessante attività, e nei sogni da svegli, lo notiamo raramente. La sopraggiunta costante di questa rivelazione interior può essere captata solo se acquisiamo lo stato meditativo di coscienza.

Il Sé interiore è la sede di Dio dove risplende come Sé Supremo e controllore interno. La coscienza del Sé interiore si trasforma nella pienezza del tempo in coscienza del Sé Supremo.

La destrezza nel lavoro non è possibile che collegando l’abisso che separa la via interiore della vita esteriore e convertendo ogni attività in un mezzo di trasformazione della coscienza.