Swami Veetamohananda
Come praticare la meditazione
secondo il Vedanta
Traduzione a cura di Franca Mussa n.
La realizzazione del nostro essere profondo
passa per tre stadi; il primo è la ricerca di Dio,poi
viene il risveglio dell’anima individuale. Al terzo stadio, la via verso l’infinito
prende la forma di tre correnti, le correnti della
coscienza che legano l’anima individuale all’infinito.
1) la corrente del suono (Nada o Shabda).
2) la corrente di luce.
3) La corrente d’amore.
Appena il risveglio dell’anima individuale
(cioè la trasformazione di sé) è avvenuto e noi
penetriamo l’una o l’altra di queste correnti, il nostro progresso spirituale è
determinato quasi intermente dalla natura e dalla forza della corrente che ci
trascina.
Con il risveglio dell’anima individuale, lo
sforzo personale arriva più o meno alla fine, e noi siamo allora nelle mani del
Divino. E lo Yoga individuale si integra nello Yoga
Divino.
La rapidità con cui ora progrediremo
dipende da tre fattori:
-
l’intensità dell’aspirazione della nostra
anima;
-
il nostro potenziale spirituale
-
e la grazia del Divino.
Più l’aspirazione è forte, più rapido è il
progresso. Ogni aspirante nasce con un certo fondo di potenziale spirituale: la
somma totale dei samskara
residui acquisiti attraverso le lotte spirituali nelle vite precedenti. Nel
corso di questa vita presente, lui o lei non può realizzare che questo
potenziale. Tutto ciò che otterrà in più, deve essere attribuito alla grazia
Divina. Come Sri Ramakrishna
aveva l’abitudine di dire, la grazia di Dio soffia senza arresto, ma noi
dobbiamo vegliare per spiegare le nostre vele: “spiegare
le nostre vele” significa compiere uno sforzo personale e questo sforzo
personale si deve perseguire fino al risveglio dell’anima.
Abbiamo parlato di tre correnti di coscienza
aldilà del punto di risveglio personale. Possiamo
sceglierne uno come vogliamo? No, perché ci spostiamo spontaneamente in essi secondo la costituzione elementare della nostra anima.
La coscienza non si manifesta nello stesso modo in noi. Certamente sono più
sensibili al suono e ai simboli del suono come le
lettere dell’alfabeto e i segni matematici. Altre sono più sensibili alla
forma, al colore e alla luce. Per un numero abbastanza grande, la coscienza è
essenzialmente un’esperienza dello spostamento della volontà o dei sentimenti.
C’è un piccolo gruppo di persone la cui coscienza si orienta soprattutto verso
l’anima e che trovano che è più facile conservare la
propria coscienza personale che una coscienza oggettiva.
La coscienza di un debuttante è generalmente
un miscuglio confuso di queste quattro forme d manifestazioni. Ma negli stati avanzati della vita spirituale queste
differenze assumono importanza e, con il risveglio dell’anima, dopo aver
attraversato la “soglia d’oro”, determinano la corrente di coscienza lungo la
quale l’anima va spostandosi. Di queste quattro forme di coscienza citate, la
coscienza di sé appartiene alla via di conoscenza Jnana, i simboli sonori, la
volontà o il sentimento appartengono alla via del
devozione, Bhakti.
Secondo il Vedanta, il suono, Shabda, è una
manifestazione particolare della coscienza, di cui la forma più grossolana è la
parola parlata. E’ il senso che apporta un potere alle parole. Non possiamo né
pensare, né comunicare senza le parole. Dietro ogni parola, c’è un senso. Che cos’è il senso? E’ una forma di potere della coscienza
che rivela la conoscenza e unisce il soggetto all’oggetto. I grammatici indiani
di un tempo lo chiamavano Sphota o
esplosione. Così dietro ogni parola c’è un senso, dietro il senso c’è un’esplosione
e dietro questo potere c’è la coscienza. Fu una delle grandi scoperte che
furono fatte in India. Panini, uno dei più importanti grammatici, formulò i suoi principi verso l’anno 500 avanti Gesù-Cristo.
Questo portò ad un’altra scoperta. Se ogni
uomo dava i proprio senso alle parole che impiega,
sarebbe impossibile comunicare con gli altri. Ciò dimostra che tutte le parole,
infatti, tutte le lingue, sono basate su un universo
comune di significato. Ciò vuol dire che c’è un potere esplosivo universale
associato a Brahman, la Coscienza
Cosmica. Questo potere universale che porta il
significato è chiamato il Suono-Brahman
o Nada-Brahman, il Logos – Hindu,
come diceva Swami Vivekananda. E’ perché esiste questo substrato universale
comune, che è possibile alle genti comunicare tra loro nel mondo e comprendersi
gli uni gli altri, anche senza dover utilizzare le parole.
Come conosciamo un oggetto?
Secondo le teorie vedantiche
della percezione,la mente esce, per mezzo dei sensi,
come una sonda e prende la forma dell’oggetto, mentre la luce dell’Atman illumina
l’interno della “sonda” e rivela la forma dell’oggetto. Ma
secondo gli antichi grammatici indiani, è il Suono-Brahman che rivela le immagini e gli oggetti del mondo esteriore nella
mente e, in seguito, comunica questa conoscenza agli altri per mezzo della parola.
E’ questo potere rivelatore, manifesto, che fa sorgere le parole, che è indicato con il termine “esplosione” o scoppio.
L’apertura verso l’esterno o il movimento
rivelatore del Suono-Brahman, avviene
in quattro stadi:
1) al primo stadio, la conoscenza è come una
coscienza indifferenziata;
2) allo stadio seguente, essa separa la parola, vak, e il suo
significato, ma essi restano legati in una unità, come le due metà di un seme.
E’ il livello dell’intuizione, il piano dell’intelletto, la buddhi;
3) al terzo stadio, la conoscenza separa il Suono-Smbolo e il suo significato
come una bolla d’aria. E’ il livello del pensiero ordinario, il piano della
mente o manas;
4) infine, quando noi parliamo, la “bolla” scoppia e
il significato contenuto nel Suono-Simbolo è comunicato all’uditore.
La meditazione è l’inverso di questo
movimento verso l’esterno.
Il culto esteriore e il canto a voce alta
dei Mantra rappresentano questo
quarto stadio. Di là noi passiamo allo stadio in cui ripetiamo un Mantra mentalmente e pensiamo al suo
significato, cioè noi visualizziamo l’immagine della
Divinità. Quando la meditazione si approfondisce, il Mantra e l’immagine si avvicinano sempre
di più l’una all’altra, finché sono infine unificate, e noi raggiungiamo allora
lo stadio del risveglio spirituale.
E noi siamo portati dalla corrente del
suono.
Benché il Suono-Brahman sia infinito e onnipervadente, si situa in due punti o
centri in ogni persona: Un punto superiore, l’Ajna Chakra, e un punto inferiore, nel cuore,
l’Anahata Chakra. Nella
scienza dei Mantra, il punto
rappresenta l’anima individuale,la corrente di forza della
coscienza tra i due punti, è chiamato suono.
Al punto inferiore, il suono è separato in
parola e nel suo significato. Come abbiamo detoprima,
coiò rappresenta lo stadio di risveglio spirituale.
Questa separazione del suono che prosegue senza arresto al punto inferiore,
produce il suono eterno, senza origine, “non percosso” chiamato Anahata-Dwani,
“intenso” “sentito” dagli yogi nel loro cuore. Non
tutti gli yog ilo sentono,ma
soltanto quelli la cuimente è sensibile alle vibrazionisonore.
Nel loro caso, il risveglio spirituale
significa il risveglio del punto situato nel cuore,
segnato dalla coscienza del suono “senza origine”, Anahata-Dwani.
Come avviene questo risveglio? Negli
aspiranti la cui mente è più sensibile al suono e orientata verso la parola, il
risveglio è prodotto dal potere della parola. Le parole ordinarie hanno un
potere limitato e si rapportano agli oggetti fisici o alle idee mentali. Ma ci sono parole particolari o parole-formule chiamate Mantra, che si rapportano agli oggetti
soprascritti e che hanno i potere di rivelare la verità spirituale. Le parole
ordinarie hanno solo un potere, il potere di designare
il potere di comunicare il significato. Se voi vedete un elefante e dite:” io vedo un elefante”, la frase comunica la vostra
conoscenza. La ripetizione della frase, “io vedo un elegante”, non
aggiungerebbe nulla alla vostra conoscenza né a quella degli altri. Ciò non
farebbe nessuna differenza se vi esprimeste in un’altra lingua, per esempio in
Latino o in Ebraico. Anche i Mantra hanno questo potere di comunicare il significato. Per
esempio, il significato del Mantra “Namah Shivaja” è
“Saluti a Shiva”
e questo significato può essere espresso in qualunque lingua. Se questo significato è conosciuto, perché le persone
continuano a ripetere il Mantra? Ciò
dimostra chela sua ripetizione ha una finalità ben superiore.
Questa finalità è il risveglio dell’anima e
la percezione diretta soprasensibile della forma spirituale reale della
Divinità. Ogni vero Mantra ha il
potere intrinseco di produrre queste esperienze superiori. Questo potere
mistico inerente al Mantra è il suo
vero potere. Solo le radici originali e la struttura della sintassi del
sanscrito possono servire da veicolo a questo potere, che perde
quando è tradotto in altre lingue. Questo potere resta
assopito quando il Mantra è ripetuto senza concentrazione, senza purezza
né devozione. Per risvegliare la forza del significato, Vacara Shakti, di un Mantra, un altro potere è necessario: il potere della pratica
spirituale. Con la purificazione, la concentrazione e la devozione, si possono
fare agire armoniosamente e aritmicamente i due canali dell’energia psichica chiamati Ida e Pingala.
Quando la ripetizione del Mantra è armonizzata con questo ritmo interiore, il Mantra diventa
lentamente risvegliato. Una volta che è risvegliato,la
sua ripetizione porta molto presto al risveglio dell’anima.
Come dicevo prima, dopo il risveglio
dell’anima, il cercatore entra nella corrente del suono, Nada. Come può andare
oltre? Certi aspiranti seguono la traccia del suono “Om” e si dirigono verso l’Aspetto
senza forma della Realtà. La maggior parte degli altri ricercano una visione
diretta della loro Divinità d’Elezione. Il risveglio dell’anima non è che la prima funzione di un Mantra. La seconda e più importante funzione è ricondurre l’anima
alla Divinità.
Questo potere del Mantra di rivelare la
Divinità concentrata in una sillaba mistica chiamata “Bija” seme. Ogni corpo vivente,
animale, umano o divino, è costruito secondo un tipo fondamentale, che è lui
stesso il risultato dell’evoluzione di un codice o di una formula primordiale.
La totalità del corpo umano non è che una versione
dispiegata del codice genetico, che gli scienziati hanno scoperto nei
cromosomi. Nello stesso modo, lo spirito umano ha anche lui il proprio codice
primordiale nascosto nel “punto” Bindu. Il corpo
spirituale di una divinità, consiste di elementi altamente
raffinati (sattvici)
ha anche il suo proprio codice primordiale. E’ ciò che è conosciuto come “seme”
bija. Il
seme rappresenta la caratteristica unica e i poteri della Divinità. Non è un
semplice simbolo, ma un seme vivo che, quando è risvegliato, materializza la
forma spirituale della Divinità.
Il “seme” non manifesterà il proprio
potere, se non quando il punto, bindu, (cioè l’anima) si è risvegliato. Dopo che l’anima individuale
si è risvegliata, entra nella corrente del suono, ma non si dirige verso la
Realtà senza forma, il “seme” la svia verso la Divinità. E’ come se voi saliste
su un treno che va a Parigi, a Gretz e discendeste a Ozoir o a Val-de-Fontaney.
Il seme è l’anello che unisce il Brahman impersonale alla Divinità
personale.
Un Mantra è formato generalmente da quattro
sillabe:
1) l’Om che
rappresenta l’Impersonale;
2) Il seme che è il legame che unisce
l’Impersonale alla Divinità
3) Il nome della Divinità
4) Una parola che indica il saluto o
l’abbandono.
Lo studio dei Mantra è in se stesso una
scienza. Avremo forse l’occasione di studiarla in futuro.
I cercatori spirituali le cui menti sono più
sensibili alle immagini e al colore più che al suono, si muovono sul cammino
della luce. Per “luce” si intende la luce della
coscienza. L’esperienza di questa luce è l’esperienza
fondamentale che si può fare su questo cammino. Il risveglio dell’anima viene sperimentato come la percezione di luce nel cuore. Di
qui, come nella corrente del suono, si può andare al senza forma o a una delle forme divine del Signore. [ E’
così che noi la pratichiamo, qui nel nostro gruppo di meditazione]. Nel primo
caso, il progresso è semplicemente una intensificazione
progressiva ed un aumento della luce, che culmina nella visione di Dio, oceano
infinito di luce o sole risplendente. Nel secondo caso, l’immagine della
Divinità sulla quale si medita, diventa sempre più reale e luminosa [Anche
questo lo abbiamo praticato nel nostro gruppo di
meditazione].
Intensificando la meditazione, la visione della Divinità divine e di una dolcezza e di una
bellezza estrema. Le Upanishd
citano spesso il sole come il simbolo dell’irraggiamento divino.
La Chandogja Upanishad, per esempio, parla del carattere immediato
di una visione che si svolge davanti l’occhio interiore di un saggio: “Ora egli
vede nel globo solare questa persona d’oro, con la barba dorata, i capelli dorati, e che irraggia luce magnificamente fino alla punta stessa
delle unghie” [Ecco perché anche noi prendiamo il sole come uno degli oggetti della
meditazione].
Questa luce superiore non è un simbolo o un’immaginazione.
E’ qualcosa che si può sperimentare direttamente quando
l’intelletto è purificato. Possiamo immaginarci di vedere diverse forme e
sbagliarci credendole vere. Ma questa luce ha una folgore rassicurante più reale, più pura
e così brillante quanto il sole e anche di più.
C’è un numero di aspiranti
spirituali, la cui coscienza è più orientata verso i movimenti della volontà e
dei sentimenti che non verso le esperienze del suono e della luce.
Questi aspiranti entrano nella corrente di
coscienza centrata su Dio, dopo il risveglio dell’essere interiore. Questa
coscienza centrata su Dio è così potente che attira a sèi sensi e la mente, le
emozioni e gli umori, gli istinti e le pulsioni. Ciò che l’aspirante
sperimenta, è la potenza, non i suoni e le immagini, perché tutti i nomi e le
forme, i concetti e i ricordi, sono sommersi in questa impetuosità
del richiamo spirituale.
Per questi aspiranti, il risveglio
dell’essere interiore può non essere segnato dall’ascolto del suono “senza
origine” o dalla visione della luce interiore, e prende piuttosto la forma di
un desiderio intenso o di un’ aspirazione per Dio.
L’aspirazione spirituale ordinaria non è che una specie di interesse
per le cose superiori, o al meglio, un desiderio negativo di essere liberato
dalle difficoltà dalle sofferenze. Essa diventa
un’aspirazione positiva, sotto la forma di un intenso
amore per Dio,solo quando l’aspirante ha gustato un poco la felicità più alta.
Questo gusto viene soltanto con il risveglio dell’essere interiore. E’soltanto
dopo aver aftto l’esperienza della gioia dell’Atman, che
l’aspirante percepisce una intensa impazienza per la
felicità suprema di Brahman.
Sri Ramakrishna
dice a proposito di questa fame dell’anima: “All’avvicinarsi dell’alba,, l’orizzonte verso est diventa fiammeggiante. Si sa allora
che presto rileverà il sole. Allo stesso modo, se vedete una persona che si
preoccupa vivamente di Dio, potete essere sicuri che non dovrà attendere più a
lungo, per avere la sua visione”.
Il risveglio dell’essere interiore lancia
l’anima nella corrente della coscienza di Dio. Essere
coscienti di Dio significa andare oltre la semplice, nozione popolare,
chela devozione è una specie di emozione. In tutte le Scritture, le emozioni
sono considerate come un ostacolo alla devozione. La devozione non è una forma
di desiderio, perché il desiderio ha la natura della
costrizione. I piani spirituali superiori non possono essere raggiunti, che da una
facoltà superiore. Nella via della conoscenza, la facoltà più elevata
utilizzata è l’intelligenza superiore o intuizione. Nella vai
della devozione, la facoltà più alta utilizzata è la volontà.
Che cosa si intende
per volontà? E una concentrazione della coscienza. E’
l’aspetto dinamico dell’intelligenza, esattamente come la coscienza è l’aspetto
statico dell’intelligenza.
Come la coscienza individuale non è che una parte della coscienza suprema di Dio, allo
stesso modo la volontà intellettuale non è che una parte della Sua Volontà
Suprema. La volontà è l’impulso creativo primordiale. Le Upanishad dichiarano che,
all’inizio, c’era un solo essere non duale. Poi, egli decise: “Che io sia il
molteplice” E’ questa volontà primordiale creatrice del Divino, che agisce in
tutti gli esseri umani come la volontà individuale.
Quando la volontà individuale è diretta
verso il basso, diventa schiava degli istinti e delle emozioni, quando è
diretta verso l’esterno, si attacca a gli oggetti dei
sensi.
E’ così che nascono l’amore mondano e
l’attaccamento. Quando può la volontà liberata dalle
emozioni e dagli oggetti esteriori, ed è orientata direttamente verso Dio,
diventa devozione.
Dunque la devozione è la pura volontà diretta
verso Dio.
Molti mistici cristiani hanno distinto la
carità (amore dell’uomo per Dio) e l’agape
(amore di Dio per l’uomo) identificando i primi due alla
volontà e l’ultimo alle emozioni.
“Il secondo segno
distintivo della carità, ha detto Santa Teresa, è che, a differenza delle forme
inferiori dell’amore, non è un’emozione. Comincia come un atto di volontà ed è
compiuta come una coscienza puramente spirituale, una conoscenza di amore unitivo dell’essenza del
suo oggetto”.
Qual è la relazione tra l’amore umano e la
devozione? Hanno entrambi la volontà pura come nocciolo centrale. Ma, nell’amore umano, la manifestazione della volontà è
limitata e deformata dalle emozioni, mentre nella devozione, è pura e senza
impedimenti. E’ ciò che voleva dire Swami
Vivekanada rispondendo così alla domanda: Come
sviluppare la devozione, “La devozione è in voi, solo
un velo di bramosia e di ricchezza la ricopre. Quando
sarà tolto, la devozione si manifesterà da se stessa”. La volontà è il potere
della coscienza, e dunque l’amore è un potere. E’ uno dei principi fondamentali
della devozione. Se l’amore di Dio non fosse
nient’altro che il distacco e la proiezione verso Dio della volontà, allora la
devozione sarebbe solo una contemplazione calma e tranquilla di Dio e si
potrebbe difficilmente differenziarla dalla conoscenza, jnana. Infatti, è ciò che certi grandi maestri
considerano come la vera devozione. Esattamente cometa conoscenza non è che una manifestazione dell’aspetto coscienza di Brahman, così le emozioni consono che
una manifestazione dell’aspetto felicità di Brahman.
Appena la volontà è liberata dall’influenza
degli istinti primitivi ed è diretta verso Dio, è resa più forte dalla grazia
di Dio e, come tale, può portare le emozioni verso Dio.
Ogni emozione che è in rapporto con una
tale volontà spiritualizzata, sarà infiammata, purificata e trasformata. E’ la
capacità d’integrare e di trasformare le emozioni e i sentimenti ordinari, che differenzia la devozione, Bhakti, da tutte le altre
discipline spirituali, e che la mette alla portata dell’uomo comune. Benché la devozione non sia un’emozione, tutta la sua
diversità, il suo calore e la sua ricchezza nascono dall’associazione con le
emozioni.
La contrazione su Dio, della volontà
purificata, infiammata e fortificata dalle emozioni sublimate, ecco ciò che
significa Bhava,
l’emozione spirituale.
Appena si compie il risveglio interiore,
l’aspirante è preso nella corrente dell’emozione spirituale e si pone in essa. Come progredisce in seguito? Quali sono le sue
esperienze, quali sono le tappe che attraversa? C’è una grande
ricchezza e una grande varietà di informazioni su questo argomento nella
lettura devozionale dell’Induismo, del Cristianesimo
e dell’Islam con il Sufismo.
In fatto di progressi, non vogliamo parlare
delle visioni e delle altre esperienze soprannaturali, ma dell’intensità della
devozione. L’intensità della devozione non significa esuberanza emozionale, ma
la forza con cui la volontà purificata e le emozioni convergono verso Dio. Siccome l’aspirante fa in ogni momento l’esperienza spontanea
di questa convergenza interna, può anche non sentire il bisogno di passare
lunghe ore di meditazione.
Il secondo punto e che, mentre l’aspirante
progredisce, la sua relazione con Dio passa attraverso cambiamenti importanti.
Dapprima, anche dopo il risveglio dell’essere interiore, egli può continuare a
sentire chela sua Divinità eletta resta esterna alla sua
anima, benché possa sentire la volontà divina come un richiamo verso il centro
della sua anima.
Allo stadio seguente, fa l’esperienza della
presenza della Divinità nella sua anima come l’Essere Supremo o il Controllore
Interno.
Nel terzo stadio, la presenza divina
percepita interiormente ed esteriormente, in tutti gli esseri e in tutti i luoghi.
Questi stadi sono descritti in modo diversi nella letteratura devozionale, ma si dice
ovunque la stessa cosa: c’è un movimento progressivo verso una unità più forte
tra l’anima individuale e l’Essere Supremo.
Il terzo punto è che la natura stessa della
devozione cambia per l’aspirante man mano che progredisce.
Per cominciare, la devozione non è che
un’emozione, in parte negativa (il desiderio di essere liberato dalla sofferenza),
e in parte positiva (il desiderio di un essere
sconosciuto), che sia forza di guadagnare la supremazia sulle altre emozioni.
Poi, la devozione diventa la volontà pura
centrata su Dio. In questi due stadi la devozione non è che
un mezzo, una modificazione della mente, uno sforzo, e benché unti alla
devozione inferiore, non è la devozione vera. La vera devozione è un fine a sé,
l’esperienza più alta, la realizzazione. L’esperienza
di che? Quella della felicità dell’ultima realtà, non la felicità
impersonale, ma quella che ha preso la forma della divinità Suprema. E’ la più
alta forma di vera devozione.
In altri termini, la “forma inferiore di
devozione” è l’amore dell’uomo per Dio, mentre la forma superiore di devozione
è l’amore di Dio per l’uomo.
Come l’amore non è diverso da colui che ama, la devozione superiore non è differente da
Dio: è l’abbandono a Dio, è la condivisione della sua propria felicità con
l’anima umana. E’ il latte dell’Amore divino che nutre tutti gli esseri, e si
manifesta in amore umano.
Nella spiritualità cristiana, molti grandi
santi e mistici hanno praticato una via unica di contemplazione chiamata “via
negativa” o apofatismo. E’ fondata su due dottrine.
Per l’una, la conoscenza umana avviene quando la luce
di Dio, passando per l’intelletto, illumina le immagini mentali, le parole, le
idee, chiamate collettivamente “phatasmata”. Se queste phatasmata sono soppresse, è possibile vedere la
Luce Divina in aiuto delle pure specie intellettuali chiamate “Lumen Sapientiae”.
E’ un’esperienza mistica che, tuttavia, non rivela l’essenza di Dio come una
realtà, perché egli può essere percepito direttamene solo in paradiso, dopo la
morte, da una visione beatifica, Lumen Gloriae.
L’altra dottrina, sostenuta tra altri, da
San Giovanni della Croce,
è che la volontà umana,
quando è liberata dalle immagini sensoriali mentali così come dai desideri, può
sentire il contatto diretto di Dio come un tocco divino, un abbraccio o una
unione. Nella via apofatica dell’aspirante, gli è
richiesto di sopprimere non soltanto le immagini mondane e le emozioni, ma
anche ogni rappresentazione, immagine o concetti di Dio. Ne risulta
che deve passare per quella che si chiama “la notte oscura” o la “nube della
conoscenza” prima di ottenete la vera esperienza di Dio.
In termini di pensiero vedantico,
l’apofatismo è una prova per applicare il “asamprajnata yoga” lo yoga
senza desideri, nella via della devozione, svuotando la mente dalle
fluttuazioni del pensiero. Egli cade allora nella corrente di Bhava descritta precedentemente.
La sola differenza è che, nella via della
devozione, la mente non è mai lasciata vuota, e la si fa
sempre fissare in una bella immagine divina o in un Mantra. Tuttavia, lo scopo
ultimo della meditazione è di aiutarci a cercare Dio. Se dimentichiamo questo e
ci preoccupiamo solo della tecnica,come le differenti
tappe, le parole da dire, le preghiere da fare, le visualizzazioni, il numero di
Mantra da recitare e così di seguito, la meditazione degenere gradualmente in un
automatismo mentale, una abitudine meccanica, e un nuovo problema si aggiungerà
alle centinai che abbiamo già.
Per tutti i cercatori di Dio, la regola
d’ora da seguire sempre è questa: non lasciamo scivolare niente tra la nostra
anima e Dio.