Swami Veetamohananda
Il coraggio di Essere
Traduzione della Prof.ssa
Franca Mussa
Si racconta che quando San Pietro fuggì
dalla città di Roma in fiamme, per sottrarsi alla persecuzione di Nerone, gli
apparve il Cristo e gli disse: “Dove vai?”, “Quo Vadis?” Vergognato, l’apostolo fece
dietro front e ritornò
a predicare e proseguire il suo lavoro. Egli fu, in seguito,
imprigionato da Nerone e morì martire.
Molto spesso, seguiamo la stessa via di
Pietro nei nostri rapporti con i problemi della vita. Fuggirli significa fuggire noi stessi, fuggire la tirannia dell’ego, fuggire i
fuochi del desiderio e dell’odio che infuria nella cittadella del nostro cuore.
Anche tra coloro che sembrano compiere il loro dovere
con assiduità o fare il servizio sociale, quanti hanno il coraggio o la
comprensione di fare fronte al loro essere intimo?
Vivere
secondo il Vedanta aiuta a mettere fine a questa fuga etera e infinita da se
stessi. E’ una via che porta direttamente all’anima.
Anche se non vi augurate di seguire la via
del Vedanta e se avete un temperamento religioso; è bene che vi domandiate,
ogni tanto, “Dove vai?” Perché questa domanda e questa ricerca
vi porteranno infine al cuore della coscienza, il punto di incontro tra l’anima
individuale e l’Anima Suprema.
Swami Vivekananda ha messo l’accento sulla
forza e il coraggio che sgorgano dalla nostra esperienza della Realtà. Le loro radici affondano
nella Realtà. La forza o il coraggio sono generalmente
considerate come virtù, cioè come un concetto etico. Ma,
per Swami Vivekananda, erano all’origine, un concetto ontologico, egli li
considerava un attributo fondamentale della Realtà.
Quando parlava di forza e di coraggio, non
era un semplice discorso d’incoraggiamento, egli voleva insegnare un principio
metafisico che aveva una applicazione pratica immersa
nella vita di tutti i giorni.
Lo Swami ha così stabilito le basi di una
filosofia esistenzialista del coraggio. E’ uno dei suoi contributi più duraturi
al pensiero moderno. “E la debolezza” dice il Vedanta
“la causa di tutti i mali del mondo”. E’ la voce di Vivekananda risponde in
eco: “La debolezza è la sola causa della sofferenza. Noi siamo infelici perché
siamo deboli. Noi mentiamo, rubiamo, uccidiamo e commettiamo ogni sorta di errori perché siamo deboli. Noi moriamo perché siamo deboli. Quando nulla
ci indebolisce, il dispiacere o la morte non esistono
più.”
Egli diceva anche: “Le Upanishad sono una
miniera di forza… La forza è virtù, la debolezza è
vizio. Se c’è una sola parola che esplode come un
colpo di fulmine nel cielo dell’ignoranza, è la parola coraggio. E’ la sola
religione che dovrebbe essere insegnata è quella del coraggio”.
Il messaggio centrale della Bhagavad Gita è ugualmente quello della forza.
“Non cedere alla vigliaccheria” insegna il Signore ad Arjuna oppresso dalla
debolezza.
La
forza significa fede in se stessi, e quando è espressa attraverso la fede,
diventa coraggio.
Delle forme spettacolari di coraggio sono
ostentate al circo dai trapezisti, dai funamboli che vanno in bici sulla corda
rigida e dai domatori di leoni e di tigri. Il toreador spagnolo che combatte il
toro nella corrida ne è un altro esempio. I furti con
scasso, gli atti di terrorismo, ecc. richiedono anch’essi un certo coraggio.
Tuttavia, bisogna piuttosto considerarli
come temerarietà in trepidità o disperazione. Così come la disobbedienza ai
superiori, l’impertinenza verso il capo, o fare marameo al principale sono
piuttosto insolenza che coraggio. Ci sono certamente atti nobili di coraggio.
Quelli dei poliziotti che inseguono un pericoloso criminale, quello di una
persona che si tuffa nel fiume per salvare qualcuno che sta annegando o che
soccorre qualcun che prigioniero in una casa in fiamme.
Sono, tuttavia, risposte specifiche a
situazioni eccezionali.
A parte ciò, il coraggio può prendere la
forma di una risposta generale a tutte le situazioni, un’attitudine globale verso la vita considerata come un tutto. Una sposa
che riesce a condurre la casa nonostante le difficoltà finanziarie, un uomo
d’affari che prende dei rischi investendo, un venditore che va qui e là per incontrare
i clienti, un pilota che riesce ad atterrare malgrado
il cattivo tempo e salva così centinaia di persone, un monaco che conduce una
esistenza di sanità e di pace, un handicappato che tenta di non dipendere da
nessuno, uno scienziato che conduce una ricerca con applicazione, sono tutte
persone coraggiose.
In tutti paesi, ci sono così migliaia di
persone la cui vita è un susseguirsi di atti eroici.
Il vero coraggio non ha bisogno di fatti straordinari, e ci vuole un coraggio straordinario per fare fronte ai problemi della vita di
tutti giorni, per amore e per vivere in armonia con tutti, per mantenere la
purezza dell’anima, per praticare una meditazione intensa, per forgiarsi un
futuro luminoso a partire dall’oscurità che ci circonda.
Questa
specie di coraggio è ciò che si intende per coraggio
esistenziale, è il coraggio espresso, nel quotidiano, dell’essere umano, nel
scomodo di vivere, nella sua esistenza reale. E’ il carattere dell’anima.
Per l’uomo veramente coraggioso, le
esperienze della vita, le sofferenze e i sacrifici, i fallimenti, e le
frustrazioni, sono dei modi di rinforzare l’anima.
Da dove viene questo coraggio esistenziale?
Come sviluppano le persone questa sorte di coraggio interiore?
Ci sono tre sorgenti principali. Esse sono:
-
La fede nel
potere della virtù
-
La dipendenza da
un Dio personale
-
La conoscenza
della vera natura della propria anima.
Di conseguenza, il coraggio esistenziale
può essere diviso in tre tipi:
-
a) il coraggio
morale
-
b) il coraggio
religioso
-
c) il coraggio
d’essere.
a) Il
coraggio morale: siccome la maggior parte delle persone proclamano
di essere virtuose, ci si potrebbe aspettare che il coraggio morale sia
piuttosto comune. In realtà, ne siamo lontani. “La maggioranza vive nella menzogna
piuttosto che seguire le leggi della vita” dice un pensatore. Quante persone
credono veramente che possono affrontare il male o anche cambiare le menti dei
deboli unicamente con il potere della virtù? Molti sembrano credere che non
saranno capaci di guadagnare il massimo del denaro o di riuscire nella vita se
sono “troppo buoni”. Benché un gran numero di essi
parlino di rettitudine e di karma, essi on esitano, molto spesso a mentire, a
tradire il loro amici o a essere disonesti. Ci sono virtuosi che vogliono
combattere il male nella società, tuttavia, lo fanno spesso, on per far crescere la loro virtù, ma con l’idea di “do ut des” o ancora per giocare un cattivo tiro. In altre parole,
ciò che incontriamo più spesso, on è il coraggio morale, è la codardia morale. E’ difficile capire che esiste una specie di
bellezza molto diversa dalla bellezza fisica. Questa
bellezza non è toccata dalla vecchiaia o dalla cattiva salute. E’ la bellezza
morale. Una persona che conduce una vita perfettamente pura e virtuosa irradia
una bellezza rara che ispira l’amore e l’ammirazione degli altri. Questa
bellezza aumenta la forza interiore e l’intelletto. Instaura la pace tra le
persone. E’ la bellezza morale che è alla base d ogni civiltà.
b) Diverso
dal coraggio morale, benché coesista generalmente con questo, è il coraggio
religioso.
E’ il risultato di una totale
dipendenza verso Dio considerato come una persona. Proprio come il coraggio
morale, il coraggio religioso vero si incontra
raramente. Milioni di persone dicono di credere in Dio, ma la maggior parte di
loro pensa di ottenere la loro forza, non da Dio, ma dai loro propri istinti,
dai loro desideri, dalle loro fantasie e dalle loro
dipendenze verso le altre persone o verso la ricchezza.
Se dipendessero intermente da Dio, non
sarebbero egoisti, immorali, gelosi, e litigiosi e non biasimerebbero Dio per
tutti i loro mali.
Molto spesso, la credenza in Dio
coesiste con la non credenza e molte persone sembrano avere una fede più grande
nelle stelle, nei pianeti, nei fantasmi o nel diavolo piuttosto che in Dio
stesso. Il vero coraggio religioso non viene da una semplice credenza
nell’esistenza di Dio o dalla lettura delle Scritture, viene da un cuore puro,
illuminato dalla saggezza di Dio. E’ il risultato della pratica della purezza e
di tutte le altre virtù, dell’apertura del cuore alla luce e al potere divini
con un’intensa preghiera o un’adorazione incessante. Da quest’apertura, la
volontà individuale si unisce alla volontà divina. E questa unione che è descritta come dipendenza totale a Dio.
Colui che pratica il vero abbandono di sé
acquisisce una formidabile forza interiore. Questa forza lo
libera da ogni paura. Egli non agirà senza riflettere, attenderà, pregherà e attenderà fino a che il giusto modo d’agire diventa chiaro
per lui.
c) Arriviamo
all’ultimo tipo di coraggio, il coraggio d’essere.
La sua sorgente riposa nel cuore
della persona, nella sua anima. E’ la capacità dell’anima ad affermarsi, ad
affermare, qualunque siano le circostanze, la sua
purezza, la sua gioia unità e pace. Perché l’anima
deve affermarsi? Come può? Cerchiamo di comprenderlo studiando il problema
centrale dell’esistenza umana.
Esistono due processi fondamentali
che danno alla vita tutto il suo dinamismo e tutta la
sua diversità.
Uno è la lotta per l’esistenza.
Ogni essere vivente, dall’ameba all’uomo, lotta costantemente per la propria
sopravvivenza in questo mondo. Qual’è
la ragione di questa lotta? Questa domanda ci porta alla seconda caratteristica
fondamentale della via: l’impermanenza. Tutto nel mondo è impermanente e nulla
è più impermanente della vita. Nel linguaggio
filosofico, l’impermanenza è chiamata il “non – essere”. Ogni essere vivente è
minacciato dalla prospettiva del non- essere. La lotta per l’esistenza, non è
una semplice per il cibo dovuta condizioni di vita difficili, come credeva
Darwin. Anche quando hanno abbondanza di cibo, tutti
gli esseri viventi devono lottare contro i cambiamenti, interni come anche
quelli esterni, come possiamo osservare ai giorni nostri. La lotta per
l’esistenza significa infatti, la lotta per evitare il
non-essere affermando l’essere. Ogni essere vivente lotta per affermarsi, per affermare la propria esistenza contro i cambiamenti,
l’impermanenza, il non-essere. Presso gli animali e le piante, questo
combattimento limitato al livello fisico. Ma anche a
questo livello, non è unicamente con il mondo esteriore, lo è anche con il
mondo interiore. Devono, per esempio, mantenere l’equilibrio delle attività
fisiologiche, conosciuto salto il termine di omeostasi.
Quando questa lotta per l’esistenza fallisce, il corpo
è invaso da malattie o dalla morte, in altre parole dal non-essere.
Presso gli esseri umani civilizzati,
la lotta per l’esistenza si situa principalmente a livello dell’ego. Il nostro
mondo moderno, con la sua organizzazione sociale e la tecnologia avanzata ha
eliminato, in gran parte, la necessità di lottare per la semplice sopravvivenza
fisica. Malgrado ciò, le persone, senza sosta, entrano in competizione, litigano e lottano per l’esistenza del loro ego. Quando una
persona non riesce a farsi considerare o anche ad essere celebre, se viene ripresa o se si parla male lei, è sconvolta perché ha
l’impressione che l’esistenza del suo ego si minacciata e non perché è la sua
esistenza fisica ad esserlo.
Quando l’ego è minacciato dal non-essere, tre tipi di reazione si offrono a lui:
a) egli può affermarsi da se stesso, affermare il proprio
essere, è il coraggio di essere;
b) può cercare rifugio nel Signore. E’ il
coraggio religioso che ho già menzionato;
c) oppure, invece di cercare rifugio nel Signore,
l’ego può ripararsi in un gruppo o una società, è la collettivizzazione
dell’ego che incontriamo sotto diversi nomi nel nostro mondo d’oggi.
L’ego
che è incapace di affermarsi o di prendere rifugio in un potere superiore può
soccombere al non-essere.
Soccombere al non-essere può prendere
diverse forme come la depressione, l’alcolismo, le nevrosi di
ogni specie, ecc; la forma estrema è il suicidio. Ho utilizzato il
termine filosofico di non-essere. Forse è una terminologia difficile da capire.
Ma tutti noi possiamo comprendere una reazione
dell’ego a non-essere, è quella dell’ansietà. Ho detto che c’erano tre specie
di reazioni possibili alla minaccia del non-essere. Ma in
generale, prima di seguire una di
queste, l’ego reagisce e la forma più comune di reazione è l’ansia. Se
percepiamo, come infatti è il caso della maggior parte
dei membri della nostra società moderna, un senso costante di ansietà, dobbiamo
sapere che è causa della minaccia del non-essere che sta affrontando il nostro
ego.
Qui dobbiamo fare una importante
distinzione tra l’ansia e la paura.
- La paura è la risposta dell’organismo a una situazione particolare. Ha un oggetto definito. In
generale noi siamo coscienti della nostra paura e possiamo prepararci ad
affrontarla.
- L’ansietà, al contrario, non ha un
oggetto definito, è un senso generale d’insicurezza che sta in noi
costantemente. Noi ignoriamo nella maggior parte del tempo quale
è la causa e il modo di sfuggirla.
Una seconda distinzione può essere fatta
tra l’ansia patologica e l’ansia esistenziale.
- L’ansia patologica è una risposta a certi
elementi insoliti, come un divorzio, un’azione infamante, etc. E’ una forma di
nevrosi che, vi ricordo, è un modo di soccombere al non-essere. Generalmente
non è nient’altro che odio o paura repressi.
- L’ansia esistenziale è una
esperienza corree nella vita normale. Può essere trattata dall’individuo
stesso.
L’uomo moderno si può confrontare con tre
specie principali d’ansia esistenziale:
a) l’ansia del destino e della morte;
b) l’ansia del vuoto e dell’assenza di
significato dell’ esistenza;
c) l’ansia della colpa e della condanna.
Benché questi tre tipi di
ansia possano manifestarsi insieme, spesso, ognuno di essi domina in
una epoca particolare della vita di un
individuo. Così l’ansia di colpevolezza è la negazione della purezza che è
l’essenza dell’anima. L’assenza di significato data alla vita è la negazione
della perfezione inerente all’anima.
Così, la colpevolezza, l’assenza di significato della vita e la morte sono tutte forme di non–esistenza
(Asat).
La
capacità dell’anima ad affermare il suo essere di fronte a queste forma di
non-essere è ciò che si chiama il coraggio di essere.
Secondo un punto di vista filosofico, i
termini anima e coscienza non sono nient’altro che la
mente. Siccome la mente può essere influenzata dalle
esperienze dei sensi e si modifica costantemente, non può fornire una base
stabile al coraggio di essere. Inoltre, la concezione dualistica dell’anima
crea un abisso insormontabile tra l’anima e Dio.
Dio è il creatore, l’anima una creatura.
Uno è il soggetto, l’altro l’oggetto. Non possono mai essere uno. L’anima è
l’essere individuale e Dio è l’Essere Supremo e tra di
loro si trova un abisso di vacuità che è il non-essere.
Così, il non–essere
è permanente e reale quanto l’essere. Ecco perché non è mai possibile trionfare
su di esso o distruggerlo. L’uomo può esercitare il
coraggio di essere, ma non può scartare il non-essere,
senso di colpa, non –senso della vita o morte, che in modo provvisorio. Come ha
detto Sartre, è una situazione “senza uscita”.
Secondo il Vedanta, l’Anima Universale, l’Atman, è luminoso in se stessa, eternamente pura e piena di
beatitudine. E’ totalmente diversa dalla
mente e la trascende. Non può essere toccata dall’impurità. L’impurità non può
che toccare la mente.
Tutto ciò che è stato creato deve avere un
fine. L’Anima Universale non è un’entità creata. Esiste da se stessa ed è una
con Dio, dunque immortale.
Una tale concezione dell’anima rende il
coraggio di essere più facile.
Quando ci si confronta con il senso di colpa,
l’anima può dirsi: “Io sono immortale e la morte non è che un evento della
continuità della mia esistenza”.
Così, il concetto vedantico
dell’Atman permette all’anima individuale di superare
tutte le forme di non-essere, affermando semplicemente la sua vera natura. Non
ha bisogno di un salvatore per salvarla da non-essere, semplicemente di una
guida che possa insegnarle come fare di fronte al
non-essere/senso vissuto come: senso di colpa, assenza di senso della
esistenza, o morte. Tutto il potere di cui l’anima ha di bisogno nascosto in
lei, ciò che le serve, è qualcuno che possa svegliare
questo potere.
Ecco perché Swami Vivekananda ha detto “Il
mio ideale può riassumersi in poche parole, ed è questo: predicare all’umanità
la sua divinità, e insegnarla come manifestarla in ogni istante della sua vita”.
Così ogni anima possiede in se stessa il
potere di esercitare il coraggio d’essere e di affrontare le minacce del
non-essere. Gli esercizi che pratichiamo nel corso delle nostre meditazioni
guidate vanno anche in questo senso.
Il Vedanta, tuttavia fa un passo in più e
nega il non-essere.
E’ in questa stessa negazione che è
radicalmente differente dagli altri sistemi di pensiero.
Secondo il Vedanta, nessun abisso separa l’anima
da Dio. La relazione con Dio non è del tipo “io-tu”, Dio
non é un oggetto totalmente altro. L’anima e Dio appartengono entrambi alla
stessa categoria: l’Anima Universale.
La prima è l’anima individuale (jivatman) mentre il secondo è
l’Anima Suprema (Paramatman).
La relazione tra essi può essere descritta come il
“noi” trascendente. Dal momento che Dio è l’Anima di tutte le anime e che l’Essere divino riempie tutto nell’universo,
dove il non-essere potrebbe esistere? Sicuramente, il Vedanta ammette
l’esistenza del non –essere sotto la forma di Maya, che separa l’anima da Dio e dall’universo. Ma,
Maya stessa è irreale, e dunque, il
non-essere è ugualmente irreale.
Nel Vedanta, le tre ansie esistenziali:
colpa, assenza di significato e morte, sono
considerate, non come forme di non essere, ma come prodotti dell’ignoranza. La
paura nasce unicamente se c’è un oggetto che può spaventare.
Come dichiarano le Upanishad: “La dualità è l’unica causa della paura (Br.Up. 1-4-2).
Qui dualità significa una
separazione soggetto-oggetto.
Ma l’Essere divino, come soggetto eterno,
riempie tutto lo spazio e non ne lascia per altri oggetti. Se ne può concludere che la paura e l’ansietà che percepiamo non sono
reali, ma causate dall’ignoranza.
Se si considera questo punto di vista, la
lotta principale della vita dovrebbe essere di eliminare l’ignoranza dalla vera
natura dell’Anima Universale; è necessario combattere il non-essere in questo
modo. E’ ciò che le quattro “grandi frasi”, le Mahavakyas implicano:
-
Io sono Brahman
(Aham Brahman);
-
questo Atman è Brahman (soham Brahman);
-
Brahman è coscienza (Prajnanam Brahman);
-
Tu sei Quello (Tat tvam asi).
Queste quattro affermazioni hanno lo scopo di
eliminare la nozione erronea del non–essere come spazio che separa l’anima d Dio. Quando
questa nozione sparirà, l’ansia e al paura, che sono
suoi prodotti, cesseranno di spaventarci. Non c’è nessun bisogno di lottare
contro il senso di colpa, il non senso e il destino
per tutta la vita. E’ possibile liberarsene completamente realizzando la
propria vera natura che è l’Anima Universale luminosa.
Un’anima liberata è raggiante è la nostra
più grande ricchezza e la più grande forza. Piuttosto
cercare di realizzare questa luce interiore sacra, perché corriamo dietro le
cose esteriori?
Perché fuggiamo lontano dalla nostra anima? Gli
oggetti materiali non potranno mai risolvere i nostri problemi esistenziali;
poche persone sono disinteressate e degne di fiducia.
Persino le guide spirituali dal cuore puro
non possono aiutarci aldilà di un certo limite.
Ci sono delle situazioni in cui ci
ritroviamo soli e impotenti. Ma, ovunque e sempre, anche quando non c‘è che
oscurità attorno a noi l’Anima Universale luminosa brilla nel nostro cuore.
Riempie il nostro vuoto con la sua pace e il suo
potere.
Aggrapparsi sempre a questa luce interiore
è l’atto più coraggioso della terra.
E’ ciò che significa realmente il coraggio
d’essere.
Non avete bisogno di cambiare ciò che fate,
ma semplicemente imparare a portare a tutto ciò che fate nella vita,
l’energia potente del vostro Essere superiore. Che voi siate
cassiere in una banca, padrone di casa, capo servizio, studente, operatore
ecologico, professore, venditore, giurista, o qualsiasi cosa, sta a voi darvi,
darvi al vostro Essere Superiore.